Japan Folklore: Botan Dōrō

Botan Dōrō

La Lanterna di Peonie

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Esistono molte storie dove amanti sfortunati sono divisi dal destino, a volte arrivando insieme alla morte (Romeo e Giulietta e Tristano ed Isotta le più famose). Ma nessuna è come la storia Botan Dōrō o La lanterna di Peonie (牡丹燈籠). Due innamorati divisi dal regno dei vivi e quello dei morti sono indissolubilmente legati dal loro giuramento d’eterno amore.

Questa leggenda vede la luce nel libro Jiandeng Xinhua scritto da Qu You durante la prima parte della dinastia Ming. Successivamente, venne poi riproposta durante il periodo Edo dallo scrittore e prete buddista Asai Ryōi sull’onda del  fenomeno Kaidan (怪談). Questo termine giapponese indica tutte quelle storie che narrano di mistero e fantasmi, scritto con due kanji: Kai( 怪)che significa “strano, misterioso, apparizione incantata” e Dan (談)“narrazione recitata”.

Questa leggenda va riconosciuta come una delle prime storie giapponesi riguardanti i fantasmi a diventare film nel 1910. Con numerose riedizioni durante gli anni, è forse una più produttive tra cinema, adattamenti televisivi e Pink Movie, genere Soft Porno Giapponese.

La bella Otsuyu

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La leggenda narra che durante la prima notte dell’ Obon (la commemorazione dei defunti secondo la tradizione Buddista Giapponese) il samurai Ogiwara Shinnojo incontra una bellissima donna e una bambina sua serva. In mano le due hanno lanterne di peonie, come vuole l’usanza, e il samurai chiede alla bimba il nome della splendida donna. Otsuyu era il suo nome ed il samurai non fu in grado di fare altro se non innamorarsene perdutamente e giurarle amore eterno quella sera stessa. Da li in poi, tutte le sere i due si incontrano bruciando di passione l’uno per l’altra. Tuttavia, durante le prime ore del mattino la bella donna e la bambina sparivano. A causa di questo comportamento sospetto, ed anche per via di una malattia improvvisa dell’uomo, un anziano vicino si incuriosisce. Entrando in casa sua,  scopre che il samurai non giaceva a letto con una bellissima donna ma con uno scheletro! L’anziano vicino avvisa dunque un prete che a sua volta avvisa Ogiwara, il quale scopre così che l’amata è in realtà un fantasma. Ogiwara capisce anche che la sua malattia era dovuta al fatto che dormire con uno spirito consuma l’energia vitale di una persona. Il prete benedice l’abitazione del samurai lasciando incantesimi protettivi e portafortuna affinché la donna e la bambina non possano più entrare. La sera stessa la donna cerca invano di raggiungere l’amato ma, non riuscendovi, urla disperata il suo amore per Ogiwara che alla fine cede lasciandola entrare in casa. La mattina dopo, il vicino ed il prete trovano Ogiwara morto stringendo a sè lo scheletro di Otsuyu.

Dallo stile macabro del periodo Edo al romanticismo di quello Meiji

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Di questa storia è molto famosa la versione del teatro Kabuki, ma c’è una sostanziale differenza tra le due. Nella versioni teatrale infatti i protagonisti si conoscono prima della morte di Otsuyu. Le loro famiglie sono molto vicine da tempo e questo aveva favorito la nascita dell’amore tra i due. Questa versione è la più conosciuta proprio per il romanticismo pregnante dall’inizio alla fine. Il loro amore, la passione giovanile, e poi la delusione per un distacco forzato dovuto per un periodo alla malattia del ragazzo.  Durante questo periodo di separazione Otsuyu muore convinta che Saburo non fosse sopravvissuto alla malattia. Saburo invece si riprende e disperato per la morte della ragazza prega il suo spirito durante la festa dell'Obon. Quella sera stessa, tornando a casa,  incontra sul suo cammino una donna e la sua serva con in mano una lanterna di peonie. Con sua grande gioia il giovane  si accorge che quella donna è proprio la sua Otsuyu che da quella notte in poi, tutte le notti, andrà a fargli visita. Ma la gioia durerà poco. Infatti, un servo, spiando da una fessura nel muro della stanza di Saburo, si accorge che in realtà egli giaceva ogni notte con uno scheletro. Un prete buddista viene subito avvertito e alle porte della casa vengono affissi dei talismani per impedire allo spirito di entrare. Eppure, ogni notte la fanciulla torna per gridare il suo amore per Saburo che, disperato per la nuova separazione, si ammala nuovamente. Ma la consapevolezza di amarla comunque e nonostante tutto significa una sola cosa. La morte! I talismani vengono rimossi per permettere allo spirito di entrare ancora una volta. L’ultima. Il giovane protagonista però muore felice tra le braccia di colei che ama.

Questa differenza di temi si può attribuire al diverso periodo in cui sono state scritte le due versioni. Quella originale risale al periodo Edo con la vena macabra che caratterizza il folclore Giapponese dell’epoca. Quella teatrale invece è più recente e vede la luce nel periodo Meiji, ovvero il periodo in cui il Giappone si avvicina all’occidente grazie all’apertura dell’imperatore Mutsuhito. Apertura che non si verificò solo a livello politico, ma anche a livello culturale influenzando quindi gusti e costumi, e questa leggenda ne è un esempio.


Japan History: I Samurai

I Samurai

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Il nome Samurai deriva dal verbo saburau che vuol dire "servire" o "tenersi a lato", letteralmente "colui che serve". In giapponese, durante il periodo Heian (794-1185), si pronunciava saburapi e più tardi saburai.

Altro nome con cui era conosciuto il samurai è bushi (武士). Questo termine appare per la prima volta nel  Shoku Nihongi (続日本紀, 797 d.C.), un antico documento giapponese racchiuso in quaranta volumi. Esso raccoglie le più importanti decisioni di stato prese dalla corte imperiale tra il 697 d.C. e il 791 d.C. . In una parte del libro si dice: "I samurai sono coloro che formano i valori della nazione".

Secondo il libro Gli ideali del samurai di William Scott Wilson, le parole bushi e samurai sono diventate sinonimi alla fine del XII secolo. Wilson esplora a fondo le origini della parola  "guerriero" nella cultura giapponese senza tralasciare i caratteri kanji con cui viene scritto. Egli afferma che bushi in realtà si traduce con "l'uomo che ha la capacità di mantenere la pace, con la forza militare o letteraria".

Saburai è stato sostituito da samurai agli inizi dell'era moderna, alla fine del periodo Azuchi-Momoyama (1573–1603) e agli inizi del periodo Edo del tardo XVI e XVII secolo.

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I Samurai servivano i daimyō, feudatari locali che rispondevano allo shogun. Quando questo moriva o ne perdeva la fiducia, il samurai diventava Rōnin, ovvero "uomo onda", inteso come "libero da vincoli".

Il bushidō,  il codice d'onore dei samurai, prevedeva che per espiare la propria colpa e riacquistare l'onore perduto si dovesse ricorrere alla pratica dello harakiri, che significa "tagliare il ventre" . L’harakiri rappresenta la parte culminante della pratica del suicidio rituale denominato seppuku, attraverso lo sventramento del ventre con la spada corta wakizashi. Il venir meno a questi principi causava il disonore del guerriero che diventava un rōnin appunto, ossia un samurai errante, alla deriva, senza onore né dignità.

Il significato della parola ronin assumeva dunque un carattere dispregiativo, soprattutto nell'era Tokugawa (1603- 1868), l'epoca di massimo isolamento e splendore del Giappone. In questo periodo i ronin giravano per le campagne intimidendo i contadini e saccheggiando villaggi, in cerca di un nuovo signore a cui prestare servizio.

Un rōnin poteva essere disposto a lavorare per chiunque lo pagasse, oppure poteva arrivare a unirsi ad altri come lui e creare scompiglio. Questi guerrieri erano disprezzati dai samurai veri e propri, tant'è che nessuno era chiamato a rispondere della loro uccisione. Ma i ronin avevano anche un altro ruolo. Capitava infatti che si unissero a mercanti, contadini e artigiani per difendere i villaggi dai saccheggi dei briganti, insegnando tecniche di guerra e le arti marziali. Costituivano una sorta di guardia del corpo (yojimbo) auto organizzata.

Si pensa che questa specie di polizia privata possa essere all'origine della yakuza, la moderna mafia giapponese. I suoi affiliati hanno infatti in comune con i samurai un forte senso di appartenenza ai clan e una lealtà assoluta verso il proprio "boss".

Questi sono alcuni termini usati come sinonimo di samurai.

•Buke 武家 - un appartenente a una famiglia militare, un suo membro;

•Mononofu もののふ - termine arcaico per "guerriero";

•Musha 武者 - abbreviazione di bugeisha 武芸者, letteralmente "uomo delle arti marziali";

•Shi 士 - pronuncia sinogiapponese del carattere che comunemente si legge samurai

•Tsuwamono 兵 - termine arcaico per "soldato", reso celebre da un famoso haiku di Matsuo Basho; indica una persona valorosa;

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L'addestramento cominciava dai 3 anni, e fino ai 7 consisteva nell’imparare a non temere la morte ed il combattimento, e ad obbedire al proprio signore, controllando la mente ed il corpo. Per temprare il corpo, venivano sottoposti a docce gelate sotto le cascate o nella neve, così che potessero imparare a resistere agli stimoli esterni. Si passava poi all'insegnamento dell'uso dell'arco e della spada contro nemici immaginari.

A 12 anni erano già in grado di uccidere.

Il legame con gli addestratori poteva diventare molto speciale. In epoca feudale le pratiche sessuali tra uomini erano all'ordine del giorno per i guerrieri samurai. Secondo la tradizione dello shudo - da wakashudo (la "Via degli adolescenti") - i giovani trascorrevano diversi anni a contatto con uomini più grandi. Uomini che oltre ad iniziarli alle tecniche di combattimento li introducevano al mondo del sesso. Gli apprendisti samurai ne divenivano allora gli amanti ufficiali, in un rapporto che era riconosciuto ed esigeva, naturalmente, fedeltà assoluta.

I samurai lavoravano per la gloria del daimyō, ma il loro stipendio si limitava a una paga in riso. Per mantenere il proprio status sociale, i samurai che non erano già ricchi di famiglia si arrangiavano come potevano con lavoretti secondari, come la fabbricazione di ombrellini o stuzzicadenti. Li facevano vendere ad altri, però, per non compromettersi troppo.  Avevano però anche diversi privilegi: avere un cognome, che la gente comune in Giappone non aveva, e quello del kirisute gomen, ossia l' "autorizzazione a tagliare e abbandonare". Il samurai poteva cioè uccidere chiunque gli avesse mancato di rispetto, se di rango inferiore. L'unico scrupolo era riuscire a dimostrare successivamente, in sede legale, il torto subito.

Per quanto riguarda la vita sentimentale,  la moglie dei samurai veniva scelta a tavolino. Essa doveva appartenere a una stirpe guerriera, oppure essere "adottata" da una famiglia di samurai che ne nobilitasse le origini prima del matrimonio. Alle spose dei samurai toccava però un "privilegio" (si fa per dire): col matrimonio guadagnavano il diritto di praticare anch'esse il suicidio rituale, il jigai, con un taglio alla gola.

Nel Giappone medievale si potevano incontrare anche donne samurai addestrate nei valori e nell'arte marziali della casta fin da giovanissima età. I Samurai di questa casta praticavano arti marziali, lo zen, il cha no yu (arte del té) e lo shodō (arte della scrittura). Nell'era Tokugawa persero la loro funziona militare diventando molti di loro semplici rōnin. Alla fine del periodo Edo i samurai erano diventati burocrati al servizio dello shōgun o del daimyō, e la loro spada veniva usata solo per scopi cerimoniali per sottolineare la loro appartenenza alla casta.

Con il rinnovamento Meiji e l’apertura del Giappone al mondo occidentale nel XIX secolo, la classe dei samurai fu abolita poichè ritenuta anacronistica e fuori dal tempo. Al suo posto fu favorito un esercito in stile occidentale. Due leggi, sotto l'Imperatore Meiji (1852-1912), segnarono la fine dei samurai. Una, l'editto Dampatsurei, obbligò i servi guerrieri a rinunciare al codino e a portare i capelli all'occidentale. L'altra, meno di "facciata" e ancora più determinante, fu l'editto Haitorei, che li privò del diritto di portare armi in pubblico. Ai samurai senza katana non rimase che una piccola pensione statale, e il rifugio nel folclore.

Ma il bushidō continua tutt'oggi a sopravvivere nella società Giapponese odierna.

Le Armi

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I samurai usavano una grande varietà di armi, anzi un'evidente differenza tra la cavalleria europea e i samurai riguarda proprio l'impiego delle armi. I samurai non ritennero mai che esistessero armi disonorevoli, ma solo armi efficienti e inefficienti. L'uso delle armi da fuoco costituì una parziale eccezione, in quanto fu fortemente scoraggiato durante il XVII secolo dagli shogun Tokugawa. Si arrivò a proibirle quasi completamente e ad allontanarle del tutto dalla pratica della maggior parte dei samurai.

Nel periodo Tokugawa si diffuse l'idea che la katana contenesse l'anima del Samurai, e a volte sono stati descritti (erroneamente) come totalmente dipendenti dalla spada per combattere.

Raggiunti i tredici anni, in una cerimonia chiamata genpuku, ai ragazzi della classe militare veniva dato un wakizashi (lo spadino utilizzato anche per suicidarsi) e un nome da adulto. Diventavano così vassalli, cioè samurai a tutti gli effetti. Questo dava loro il diritto di portare una katana, sebbene venisse spesso assicurata e chiusa con dei lacci per evitare sfoderamenti immotivati o accidentali. Insieme, katana e wakizashi, vengono chiamati daishō (letteralmente: "grande e piccolo"). Il loro possesso era la prerogativa del buke, la classe militare al vertice della piramide sociale. Portare le due spade venne vietato nel 1523 dallo shogun ai cittadini comuni che non erano figli di un samurai, per evitare rivolte armate, perché prima della riforma tutti potevano diventare samurai.

Ma oltre alla spada, un’altra importantissima arma dei samurai, era lo shigetou, l'arco asimmetrico giapponese, e ciò non fu modificato per secoli, fino all'introduzione della polvere da sparo e del moschetto nel XVI secolo.  Lo shigetou, lungo 2 metri e fatto di legno laminato e laccato,era arma di esclusiva pertinenza dei samurai. Fino alla fine del XIII secolo la via della spada (kendo) fu meno considerata della via dell'arco da molti esperti di bushidō. Un arco giapponese era un'arma molto potente: le sue dimensioni permettevano di lanciare con precisione vari tipi di proiettili (come frecce infuocate o frecce di segnalazione) alla distanza di cento metri. Arrivavano addirittura fino a duecento metri quando non era necessaria la precisione.

Durante l'era di più grande potere dei samurai il termine yumitori (arciere) veniva utilizzato come titolo onorario per un guerriero, anche quando l'arte della spada divenne la più importante. Gli arcieri giapponesi (vedi arte del kyūjutsu) sono ancora fortemente associati con il dio della guerra Hachiman.

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L’arco veniva usato solitamente a piedi, dietro un tedate, un largo scudo di legno, ma poteva essere usato anche a cavallo. La pratica di tirare con l'arco da cavallo divenne una cerimonia shinto detta yabusame. Nelle battaglie contro gli invasori mongoli, questi archi furono l'arma decisiva, contrapposti agli archi più piccoli e alle balestre usate dai cinesi e dai mongoli.

Nel XV secolo anche la lancia (yari) divenne un'arma popolare. Lo yari tese a rimpiazzare la naginata allorquando l'eroismo individuale divenne meno importante sui campi di battaglia e le milizie furono maggiormente organizzate. Nelle mani dei fanti o ashigaru divenne più efficace di una katana, soprattutto nelle grosse cariche campali. Nella battaglia di Shizugatake, in cui Shibata Katsuie fu sconfitto da Toyotomi Hideyoshi, i cosiddetti "sette lancieri di Shizugatake" ebbero un ruolo cruciale nella vittoria.

Completavano il corredo i ventagli da guerra con i bordi affilati come coltelli, ma per diverse epoche della storia giapponese i samurai furono i soli a poter portare armi.

Il Seppuku

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Seppuku (切腹) è un termine giapponese che indica un rituale per il suicidio in uso tra i samurai. In Occidente viene usata più spesso la parola harakiri (腹切り). A volte in italiano viene erroneamente pronunciato come "karakiri", con pronuncia e scrittura errata dell'ideogramma hara.

Nello specifico seppuku e harakiri presentano alcune differenze, qui di seguito spiegate.

La traduzione letterale del termine seppuku è "taglio dello stomaco", mentre per harakiri è "taglio del ventre" e veniva eseguito secondo un rituale rigidamente codificato. Esso era un modo per espiare una colpa commessa o un mezzo per sfuggire a una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell'anima.Il significato simbolico di questo atto era dunque quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza. Ma anche l'estremo gesto di orgoglio e libertà di un samurai seguiva regole rigidamente codificate. Il sacrificio si doveva consumare davanti a testimoni utilizzando il pugnale (tantō) o la spada corta (wakizashi) ed eseguendo un taglio a "L", che partiva dall'ombelico e si allungava da sinistra a destra, e poi verso l'alto.

I piedi con le punte rivolte verso il basso garantivano che il moribondo seduto sulle ginocchia cadesse in avanti, coprendo lo scempio di sangue e budella. La presenza di testimoni e del kaishakunin, l'assistente incaricato di finire il ferito con un colpo di katana al collo, assicurava che la vittima non soffrisse ulteriormente (e non avesse ripensamenti).

Il kaishakunin era un fidato compagno del samurai che, previa promessa all'amico, lo decapitava appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto e preservandone l’onore.

Alcune volte praticato volontariamente per svariati motivi, durante il periodo Edo (1604–1867) divenne una condanna a morte che non comportava disonore. Infatti il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva giustiziato, ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita praticandosi con un pugnale una ferita profonda all'addome di una gravità tale da provocarne la morte.

La decapitazione (kaishaku) richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più abile nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità o emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze. Proprio l'intervento del kaishakunin e la conseguente decapitazione costituiscono la differenza essenziale tra seppuku e harakiri. Infatti, sebbene le modalità di taglio del ventre siano analoghe, nell'harakiri non è prevista la decapitazione del suicida. Viene pertanto a mancare tutta la relativa parte del rituale, con conseguente minore solennità dell'evento.

Il più noto caso di seppuku collettivo è quello dei "quarantasette rōnin", celebrato nel dramma Chushingura, mentre il più recente è quello dello scrittore Yukio Mishima avvenuto nel 1970. In quest'ultimo caso, il kaishakunin Masakatsu Morita, in preda all'emozione, sbagliò ripetutamente il colpo di grazia, e ciò richiese l’intervento di Hiroyasu Koga, che decapitò lo scrittore.

Una delle descrizioni più accurate di un seppuku è quella contenuta nel libro Tales of Old Japan (1871) di Algernon Bertram Mitford, ripresa in seguito da Inazo Nitobe nel suo libro Bushido, L'anima del Giappone (1899).

Nel 1889, con l’introduzione della costituzione Meiji, venne abolito come forma di punizione ma casi di seppuku si ebbero al termine della seconda guerra mondiale tra gli ufficiali, spesso provenienti dalla casta dei samurai, che non accettarono la resa del Giappone.  Un caso celebre fu quello dell'anziano ex daimyō Nogi Maresuke che si suicidò nel 1912 alla notizia della morte dell'imperatore.

Con il nome di jigai, il seppuku era previsto, nella tradizione della casta dei samurai, anche per le donne. In questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla gola, dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte durante l'agonia.

L'arma usata poteva essere il tantō (coltello), anche se più spesso, soprattutto sul campo di battaglia, la scelta ricadeva sul wakizashi, detto per questo "guardiano dell'onore".

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Il Bushidō

Il guerriero giapponese viveva e moriva secondo un rigido codice di comportamento, il bushidō (la via del guerriero), che regolava il rapporto unico e inscindibile tra il samurai e il suo daimyō. Alla base di questo codice c'era la fedeltà assoluta, una rigida definizione di onore e il sacrificio del bene del singolo in favore del benessere comune. È questa l'etica alla base delle azioni anche dei kamikaze giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale e di cui si avvertono strascichi in alcune aziende nipponiche moderne.

Qualora un'offesa o una grave colpa avesse incrinato questo rapporto, c'era sempre una via per salvare l'onore: il seppuku o harakiri, il suicidio rituale.

I precetti dei samurai furono pesantemente influenzati dalle principali correnti spirituali e culturali giapponesi. Verso il 1000 era ancora lo shintoismo la principale fonte di ispirazione per i samurai, corrente che sottolineava la fedeltà all'imperatore, in un'epoca in cui essere samurai voleva dire essere un guerriero abile. Successivamente però concetti taoisti, buddisti e confuciani iniziarono a diffondersi e a sovrapporsi tra lori. In particolare ebbero grande fortuna, dopo il buddismo cinese, il buddismo zen e il buddismo esoterico. Quest'ultimo era praticato soprattutto nelle casate nobili più ricche e potenti, mentre il buddismo zen era praticato anche a livello di piccole scuole e fra i rōnin. In quest'epoca si diffusero molte scuole che associavano ai doveri del samurai l'obbligo di svolgere i propri compiti non solo al massimo delle proprie capacità, ma anche con grazia ed eleganza. Ciò voleva dire dimostrare attraverso il gesto la propria superiorità. Questa pratica che fu molto contestata nel XVI secolo, è rimasta in molte scuole di pensiero samurai.

I guerrieri del 900 erano divenuti, prima del 1300, raffinati poeti, mecenati, pittori, cultori delle arti, collezionisti di porcellane, codificando in molte opere di bushido (fino al Libro dei cinque anelli) una precisa necessità. Un samurai doveva infatti essere esperto in molte arti, non solo in quella della spada. La prima grande codificazione di questa svolta avvenne nello Heike Monogatari, opera letteraria più famosa del periodo Kamakura (1185-1249). Quest’opera attribuiva alla via del guerriero l'obbligo dell'equilibrio tra la forza militare e la potenza culturale. Gli eroi di questa epopea (la storia di una lotta tra due clan, i Taira e i Minamoto) e di altre che si ispirarono a questa negli anni immediatamente successivi, sono gentili, ben vestiti, molto attenti all'igiene, cortesi con il nemico nei momenti di tregua. Ma erano anche abili musicisti, competenti poeti, letterati talvolta particolarmente versati nella calligrafia o nella disposizione dei fiori. E ancora, era appassionati cultori del giardinaggio e spesso interessati alla letteratura cinese.

Inoltre, morendo, spesso mettevano in versi il proprio epitaffio.

Questa visione duplice dei compiti del samurai si affermò grandemente, fino a diventare egemonica. Hojo Nagauji (o Soun), signore di Odawara (1432-1519), uno dei più importanti samurai della sua epoca scrisse nei Ventuno precetti del samurai: "La via del guerriero deve sempre essere sia culturale, sia marziale. Non è necessario ricordare che l'antica legge stabilisce che le arti culturali dovrebbero essere rette con la sinistra e quelle marziali con la destra". In questo egli sottolineava una certa predominanza per le arti marziali, ma da questo insegnamento trassero spunto numerosi samurai che divennero famosi tanto come spadaccini, quanto, e più, come esperti della cerimonia del tè, o come artisti, attori di teatro Nō e poeti. Imagawa Royshun (1325-1420), grande commentatore dell'arte della guerra di Sun Tzu, nelle sue Norme si era spinto oltre, affermando che "Senza conoscere la via della cultura, non ti sarà possibile raggiungere la vittoria in quella marziale". Royshun aveva così creato un nuovo concetto di equilibrio tra cultura e guerra noto come bunbu ryodo ("non abbandonare mai le due vie").

Lo stesso Miyamoto Musashi, uno dei più grandi duellisti del XVII secolo, divenne nella seconda parte della sua vita uno dei più grandi pittori di quel periodo. Concordava con Takeda Shingen (1521-1573), forse il più brillante generale del XVI secolo, che affermava come la grandezza di un uomo dipendeva dalla pratica di numerose vie.

Questo atteggiamento ovviamente provocò tutta una serie di aspre critiche. In particolare si ricorda l'avversione di Kato Kiyomasa (1562-1611) per tutto ciò che non era marziale e la sua opinione, condivisa da molte scuole "estremamente marziali", era che un samurai dedito alla poesia sarebbe divenuto "effeminato", mentre un samurai che avesse praticato il mestiere dell'attore o si fosse interessato al teatro Nō avrebbe dovuto suicidarsi per il disonore che arrecava al suo nome. Correnti di pensiero "estremamente marziali" e di rifiuto degli aspetti culturali della figura del samurai si diffusero notevolmente nei secoli successivi. Questo fatto potrebbe sembrare paradossale per un'epoca di pace (la cosiddetta Pax Tokugawa) durante la quale in piccoli dojo non solo si accettava l'etichetta, ma anzi la si studiava a fond. Al contempo però si intendeva anche ritornare al significato originario dell'essere samurai, il guerriero impavido.

Le differenti fonti di ispirazione culturale a cui erano soggetti i samurai (scintoismo, scintoismo esoterico, taoismo, buddismo cinese, buddismo della terra pura, buddismo zen, buddismo esoterico, confucianesimo ufficiale cinese, confucianesimo dei glossatori giapponesi ed epica classica giapponese) crearono scuole di pensiero e di pratica molto differenti.I principi di vita seguiti erano talvolta contrapposti o, più spesso, semplicemente complementari, anche grazie alla grande attitudine al pragmatismo e al sincretismo della cultura giapponese.

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Simbolo di tutte le arti marziali. Nell'iconografia classica del guerriero il ciliegio rappresenta insieme la bellezza e la caducità della vita, ed era per questo venerato.I sakura, durante la fioritura, mostrano uno spettacolo incantevole nel quale il samurai vedeva riflessa la grandiosità della propria figura avvolta nell'armatura. Ma è sufficiente un improvviso temporale perché tutti i fiori cadano a terra, proprio come il samurai può cadere per un colpo di spada infertogli dal nemico. Il guerriero, abituato a pensare alla morte in battaglia non come un fatto negativo ma come l'unica maniera onorevole di andarsene, rifletté nel fiore di ciliegio questa filosofia.

Un antico verso ancora oggi ricordato è "tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero" (花は桜木人は武士 hana wa sakuragi, hito wa bushi), ovvero "come il fiore del ciliegio è il migliore tra i fiori, così il guerriero è il migliore tra gli uomini".

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Japanese Culture: Il Ramen

Ramen: “Imperatore” della tavola Giapponese.

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Fino a pochi anni fa, per amanti o meno della cucina etnica, andare al Giapponese equivaleva prettamente a gustare Sushi: piatto composto da pesce crudo e riso.

Questo piatto da colori e forme suggestive strizza l’occhio ai commensali più modaioli (ma non solo!), che hanno modo di gustare “prima con gli occhi che con la gola”. Ma ora un altro piatto famoso in tutto il Giappone è finalmente approdato anche sulle nostre tavole, facendo impazzire i più.

Il Ramen (ラーメン,拉麺 rāmen), forse vero e proprio piatto rappresentativo del paese. Talmente conosciuto in tutto il Giappone che vanta per ogni regione un suo modo diverso di farlo. Regione diversa, ricetta diversa. Gustiamole tutte allora …

Una zuppa ricca di ingredienti: spaghetti cinesi, carne di maiale, Nori (海苔) o alga secca, uova sode, e il kamaboko. Da noi conosciuto come surimi, la sua forma più famosa, quella a spirale, si chiama Naruto (come il personaggio del manga omonimo il cui nome è ispirato proprio a questo ingrediente) . Il brodo può essere di pesce o carne, varie guarnizioni e modi diversi di insaporire, con semi di sesamo o pepe, dal miso alla salsa di soia.

Storia di una Zuppa

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Benché non sia chiaro quando ebbe inizio la diffusione di questo piatto in suolo giapponese, l’origine è cinese, visto che uno degli ingredienti base sono i mian o spaghetti cinesi di frumento. Va anche detto che in Cina solo negli ultimi anni c’è stata una riscoperta, non considerato più piatto tradizionale ma d’importazione giapponese. In Cina vengono chiamati rìshì lāmiàn “Lamian in stile Giapponese”.

Il Ramen è sempre stato un piatto da gustare fuori casa, e all’inizio del ‘900 c’erano numerosi chioschi da strada con gestori Cinesi. Poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i soldati giapponesi di rientro dalla Cina, dove avevano appreso la tradizione culinaria, aprirono diversi ristoranti in tutto il paese. Da lì in poi, una continua evoluzione che ha portato a come si conosce il Ramen oggi giorno.

Così tanto amato che dal 1994 è stato aperto a Yokohama lo Shin-Yokohama Raumen Museum il museo interamente dedicato a questa prelibatezza.

Ramen da compagnia.

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Come detto in precedenza, in passato non era poi così strano gustare scodelle di Ramen nei chioschi da strada, famosi anche oggi giorno sebbene non diffusissimi. Questo perché il Ramen è anche un cibo da strada da assaporare nei tradizionali Yatai, bancarelle mobili. I migliori ristoranti invece sono i Ramen-ya con pochi posti a sedere sia al banco che ai tavoli, ma con la finalità di mangiare solo Ramen.

E non è inusuale trovare piatti di Ramen in parchi divertimento o nei menù dei karaoke. Ci scappa anche che finito il lavoro tra colleghi si faccia un salto agli Izakaya, pub con la formula Nomihodai “all you can drink” e Tabehodai “all you can eat”. Qui, con un tempo massimo di tre ore, i commensali tra liquori ed altri cibi possono gustare anche il Ramen con un menù dal prezzo fisso.

Menzioni d’onore e le regionali.

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Benché la ricetta classica sia comune in tutto il Giappone ci sono varianti sempre innovative.

Qui va menzionato il Ramen Blue , di un bellissimo e brillantissimo colore, e vogliamo anche dirlo del tutto naturale! Ma questa è un'innovazione estrema.

Le varianti “classiche” regionali sono:

  • Quella di Tokyo con tagliatelle spesse in brodo di pollo al gusto soia, con guarnizione di germogli di bamboo, scalogno, maiale a fette, spinaci alghe, un uovo e un po’ di Dashi. Da provare nei quartieri di Ikebukuro, Ogikubo e Ebisu.
  • A Sapporo è famosa per la versione “invernale”, con talvolta frutti di mare, burro, maiale, mais e germogli di fagioli.
  • Yokohama ha il le-kei , uovo alla coque dove il commensale deve indicare la morbidezza desiderata per poi romperlo ed insaporire il brodo con cipolla, maiale, spinaci e alga.
  • Kitakata con tagliatelle spesse ma piatte, servite in brodo di maiale.
  • Hakata con brodo composto da osso di maiale, e con spaghetti sottili, zenzero, aglio, verdure in senape e semi di sesamo.

Se leggendo questo articolo vi è venuta una gran fame vogliamo lasciarvi alcuni indirizzi dove poterlo gustare qui in Italia:

Nozomi

Via Pietro Calvi 2, 20129 Milano, Italia
+39 02 7602 3197
http://www.nozomi.milano.it/

Casa Ramen

Via Porro Lambertenghi 25, Milano, Italia
+39 02 3944 4560
https://www.facebook.com/casaramen

Zarà Ramen

Via Solferino, 48, 20121 Milano, Italia
+39 02 3679 9000
https://www.facebook.com/zazaramen/

Mi-Ramen Bistro

Viale col di lana, 15 | Viale Col Di Lana, 15, 20136, Milano
+39 339 232 2656
http://mi-ramenbistro.it/

Osaka

Corso Giuseppe Garibaldi 68, 20121 Milano, Italia
+39 02 2906 0678
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Japan History: Minamoto no Yoshitsune

Minamoto no Yoshitsune

Photo credits: wikipedia.org

Minamoto no Yoshitsune (1159-1189) era il nono figlio di  Minamoto no Yoshitomo (1123-1160), ed il terzo figlio avuto con Tokiwa Gozen. Nome d'infanzia di Yoshitsune era Ushiwakamaru (牛若丸). Poco dopo la sua nascita, scoppiò la ribellione di Heiji, nella quale suo padre e i suoi due fratelli più grandi persero la vita. Mentre suo fratello maggiore Yoritomo, ormai erede designato del clan, fu esiliato nella provincia di Izu, Yoshitsune fu affidato al tempio di Kurama, sulle montagne di Hiei, vicino Kyoto. Fu infine preso in custodia da Fujiwara no Hidehira (藤原秀衡?), capo del potente ramo settentrionale del clan Fujiwara (Fujiwara del Nord), e portato a Hiraizumi, nella provincia di Mutsu.

Photo credits: wikimedia.org

Nel maggio 1180, il figlio dell'imperatore Go-Shirakawa appoggiato dal clan Minamoto,  scrisse una dichiarazione per spingere i Minamoto a sollevarsi contro i Taira. Il contesto è quello della guerra Genpei (1180–1185) che vide contrapposti i clan Taira e Minamoto sulla scelta dell'imperatore da porre sul trono e così assicurarsi il controllo del Paese. La battaglia di Uji fu l'inizio di una guerra che durò 5 anni, e durante la quale Yoshitsune e Yoritomo si riunirono dopo la loro separazione avvenuta nel 1160.

Nel 1184 Yoshitsune andò contro suo cugino Yoshinaka. Quest’ultimo aveva preso il controllo dei Minamoto dopo aver sconfitto i Taira nel Giugno del 1183. A quel punto, Yoritomo mandò contro Yoshinaka suo fratello Yoshitsune che nello stesso anno ottenne la carica di Sô-daisho (generale dell'armata). Le truppe di Yoshinaka furono sconfitte e non appena lo stesso lo venne a sapere, abbandonò Kyoto insieme a Tomoe Gozen, unico esempio di samurai donna.  Fu poi messo alle strette a Awazu e costretto a suicidarsi.

Senza più Yoshinaka, Yoritomo ottenne il supporto di Go-Shirakawa per continuare la guerra contro i Taira. Il 13 marzo Yoshitsune si  spostò a Settsu, ed il suo primo obiettivo fu una fortificazione dei Taira, Ichi no tani.

Yoshitsune guidò in battaglia 10.000 uomini attaccando da Ovest, mentre 50.000 uomini guidati da Noriyori, fratello di Yoshitomo,  attaccavano da est. Il 18 Marzo Yoshitsune arrivò a  Mikusayama, attaccando di notte. Secondo lo Heike Monogatari i difensori rimasti vivi scapparono verso la costa rifugiandosi poi nello Shikoku, lasciando 500 morti. Allora Yoshitsune mandò 7000 uomini guidati da Doi Sanehira dal lato ovest verso Ichi no tani, mentre lui stesso ne guidava altri 3000 dalla cima delle scogliere. I Minamoto vinsero sui Taira, e la loro vittoria fece spazio ad un altro assalto a Yashima, il quartier generale dei Taira nello Shikoku. Yoritomo decise per un approccio cauto. I sei mesi successivi furono spesi a consolidare i guadagni già ottenuti e per mettere in ordine le numerose famiglie che avevano finora sostenuto i Minamoto.

Dopo Ichi no tani, Yoshitsune e Noriyori tornarono a Kyoto mostrando per le strade le teste dei Taira. Nell'ottobre successivo Noriyori fu mandato a distruggere i sostenitori dei Taira nel Kyushu e iniziò una lunga e faticosa marcia attraverso le province occidentali. Yoshitsune rimase a Kyoto e agì come il vice di Yoritomo fino ai primi del 1185. Ufficialmente, Yoshitsune era responsabile di emanare decreti che ordinavano la cessazione di qualsiasi violenza all'interno del territorio dei Minamoto. In pratica, le sue direttive riguardavano altri temi, tra cui la proibizione di  tasse di guerra senza il consenso espresso della leadership dei Minamoto.

Durante il periodo di Yoshitsune a Kyoto ci furono i primi segni della rottura con Yoritomo. Sembra infatti che quest'ultimo avesse negato a Yoshitsune i titoli imperiali che la corte voleva concedergli, e che si infuriò quando nonostante il suo diniego gli vennero comunque riconosciuti.

Nel Marzo 1185, con Noriyori pronto ad invadere il Kyushu, Yoshitsune fu autorizzato al rientro in guerra. Volendo assaltare Yashima, assemblò una flotta a Watanabe. Durante i preparativi  litigò con Kajiwara Kagetoki, uno dei servitori di suo fratello maggiore, riguardo la strategia da adottare, ma nella notte del 22 Marzo Yoshitsune  ordinò ai suoi uomini di salpare. Siccome il tempo era brutto, molti uomini rifiutarono di salire sulle navi, ma lo fecero nel momento in cui Yoshitsune minacciò di uccidere chiunque avesse disobbedito ai suoi ordini. Nonostante questo, non tutte le navi lo seguirono.

Yoshitsune arrivò all'alba nello Shukoku, per poi partire per Yashima. La base dei Taira era situata sulla spiaggia e Taira Munemori, accortosi dei fuochi che gli uomini di Yoshitsune avevano acceso nelle vicinanze, ordinò l'immediata evacuazione della fortezza. Lui stesso scappò in nave con Antoku, l’imperatore bambino protetto dai Taira .  Nonostante tutto, il clan Taira fu completamente sradicato in quella che viene ricordata come la battaglia di Dan-no-ura, una delle più importanti della storia giapponese.

Dopo la vittoria, nel 1192 a Yoritomo fu dato il il titolo di Shogun. Ma in quell’anno Yoshitsune era ormai già morto perchè Dan-no-ura segnò non solo la consacrazione della sua fama e abilità, ma anche la sua tragica fine.

Da tempo infatti i rapporti con il fratello erano turbolenti. E probabilmente anche la gelosia per l'abilità dimostrata fino ad allora da Yoshitsune ebbe un ruolo nella scelta di Yoritomo di dichiarare il fratello una minaccia per i Minamoto e per l'Impero stesso.

Photo credits: wikimedia.org

Dopo aver tentato di opporsi a Yoritomo, Yoshitsune fu costretto a trovare rifugio a Mutsu, dove si trovava il suo vecchio guardiano Fujiwara Hidehira. Hideara però morì nel Novembre 1187 lasciando come sua ultima volontà una dichiarazione in cui si affermava che Yoshitsune sarebbe dovuto diventare governatore di Mutsu. Un desiderio che il figlio di Hidehira, Yasuhira, ignorò completamente.  Scoppiò un inevitabile conflitto con i Fujiwara e le autorità di Kamakura scoprirono dove Yoshitsune si rifugiava.

Benkei, servitore e fedele compagno di Yoshitsune, fece in modo di trattenere i loro assalitori, dandogli così il tempo di uccidere la sua giovane moglie e commettere suicidio. La testa di Yoshitsune fu trasportata a Kamakura, creando una forte emozione in chi la vide.

Venne sepolto nel tempio shintoista di Shirahata Jinja, a Fujisawa, dove la sua salma è tuttora custodita.

Miti e leggende

Nonostante tutto, le notizie riguardanti la morte di Yoshitsune sono sempre state un po' elusive.  Secondo l'Ainu historical accounts, non fece seppuku, scappò a Koromogawa, assumendo il nome di Okikurumi/Oinakamui.

A Hokkaido, il tempio di Yoshitsune è eretto in suo onore nella città di Biratori. Alcune teorie lo vedono scappare da Hokkaido e risorgere come Genghis Khan. Ma ovviamente si tratta solo di leggende

Photo credits: samurai-archives.com

Un grande soldato ed una figura classica tragica, Yoshitsune divenne una leggenda ben prima della sua morte.  Kujô Kanezane, un supporter di Yoritomo, ha scritto sul suo diario nel 1185,

"Yoshitsune ha lasciato grandi successi; su questo non c'è niente da dire. In coraggio, benevolenza, e giustizia, lascerà una grande eredità ai posteri. In questo può essere solo lodato ed ammirato. L'unica cosa è che ha deciso di andare contro Yoritomo. Questo è un crimine da traditore."

Il modo in cui Yoshitsune morì, gli assicurò un posto d'onore nel futuro, mentre il ricordo di Yoritomo porterà per sempre una macchia nera. Cosa accadde in quell'estate del 1185 sarà sempre un mistero. E’ certo però che i successi di Yoshitsune nella guerra Genpei hanno cambiato il corso della storia giapponese e gli ha assicurato il posto tra i più grandi Samurai.

La vita di Yoshitsune nella letteratura e nell’era moderna

La vita di Yoshitsune, nonostante il suo eccezionale talento militare, finì con una morte cruenta, che attira la compassione di molti. Nella lingua giapponese l'espressione Hougan'biiki (判官贔屓), che vuol dire "compatire o accogliere nelle proprie grazie un debole", contiene il nome postumo di Yoshitsune, Hougan (判官) appunto. Questo nome gli spettava grazie al rango affidatogli dall'imperatore Go Shirakawa, infatti un'altra pronuncia degli ideogrammi di Hougan è Hangan, che significa "magistrato". Inoltre, la vita di Yoshitsune è considerata eroica al punto da essere narrata. Le leggende e i racconti con questo tema si sono moltiplicate col tempo, delineando così una figura di Yoshitsune piuttosto lontana da quella storica. Tra le varie leggende è famosa quella del suo incontro a Oobashi con il fortissimo Musashi. O quella in cui, grazie all'aiuto della figlia dello stregone Kiichi Hogen, riuscì a rubare i due leggendari volumi di tattiche belliche Rikuto e Sanryaku, e a studiarli. O ancora quella dell'improvvisa morte in piedi di Benkei, monaco guerriero, fedelissimo servitore e amico di Yoshitsune, nella battaglia del fiume Koromogawa. Queste leggende sono state rese famose presso un vasto pubblico circa duecento anni dopo la morte di Yoshitsune, all'inizio dell'era Muromachi, grazie alle "Cronache di Yoshitsune". Yoshitsune infatti compare come protagonista nella terza sezione dell'Heike Monotogari, il classico della letteratura giapponese che racconta degli eventi della guerra Genpei e che ispirò molte opere posteriori, soprattutto di teatro Nō e Kabuki. In particolare, si narra che l'aver studiato il "Libro della Tigre", contenuto nel Rikuto, sia stato la causa della sua vittoria a Sunaga, e che da quel momento, esso si sia rivelato indispensabile per le vittorie seguenti. In epoche successive, il nome di Yoshitsune venne utilizzato per consacrare la gloria di una discendenza. Ad esempio, esiste una scuola di arti marziali che avrebbe ereditato delle tecniche da Yoshitsune stesso o da quello che viene ritenuto il suo maestro, Kiichi Hogen.

MOON SAGA e MOON SAGA 2

La figura di Yoshitsune è stata ripresa anche dal cantante e attore giapponese GACKT nelle rappresentazioni teatrali MOON SAGA  e MOON SAGA 2. Lui stesso interpreta Yoshitsune descrivendolo come un mononofu, ovvero un essere metà umano metà demone. GACKT, con le sue eccezionali capacità interpretative,  è riuscito perfettamente ad interpretare questa dualità, dando vita nella prima parte ad un personaggio ironico, divertente ed anche un po’ impacciato che nella seconda parte diventa demoniaco, spaventoso. Le avventure di Yoshitsune sono, in questo caso, romanzate e rese anche un po' sovrannaturali, ma raccontano comunque la sua storia, perchè Yoshitsune era così. Una dualità, un personaggio pieno di contrasti in cui la benevolenza si alternava con la crudeltà. Yoshitsune perdeva, probabilmente, completamente il controllo quando si sentiva in pericolo e per questo faceva uscire il suo lato "demone".

MOON SAGA 2 è stata anche la prima rappresentazione teatrale al mondo ad usare il projection mapping.

Photo credits: gackt.com

Photo credits: gackt.com


Japanese Folklore: The Ring

Ringu: La cassetta maledetta

Photo credits: Movieweb.com

The Ring è il fortunato horror statunitense con protagonista Naomi Watson che nel 2002 infestò i cinema di tutto il mondo. Incassando più di 250 milioni di dollari al botteghino ha ridato vita ad un genere ormai stantio con nuovi spunti per procurare brividi agli spettatori più temerari. Ha avuto anche un sequel, The Ring 2, uscito nel 2005, ed è da poco arrivato sugli schermi The Ring 3 a distanza di quindici anni dalla pellicola originale.

Samara Morgan è una bambina dai lunghi capelli corvini e la pelle nivea, e dalla descrizione potrebbe sembrare una candida Biancaneve. Ma la realtà è ben diversa. Con la sua frase celebre “Tra sette giorni morirai” è un fantasma che conduce alla morte, grazie ad un cerchio senza fine, chiunque veda la sua casetta maledetta.

Samara oggigiorno è tra i “cattivi” per antonomasia del genere Horror americano (come Jason di Venerdì 13, o Freddy Krueger di Nightmare con la sua natura soprannaturale e demoniaca). E diciamolo, è anche una delle possibili maschere di Halloween.

Photo credits: flickr.com

Ma la sua nascita non è americana bensì giapponese, nata dalla penna dello scrittore Koji Suzuki autore dell’omonimo romanzo Ring ( リング Ringu). Suzuki è autore anche di Spiral, uno dei sequel di The Ring, e di Dark Water che si guadagnò un film di cui in America venne prodotto il remake. La protagonista è qui Jennifer Connelly, e anche questo è un Horror di indubbio terrore che però non ha eguagliato la fama di The Ring.

Il remake Americano di The Ring non è molto diverso dal soggetto originale(almeno per i primi film è così). La protagonista è in entrambi una giornalista che ricerca il mistero delle inspiegabili morti dovute alla visione della cassetta maledetta. Purtroppo la donna finirà per portare con sé in questa spirale la propria famiglia in una corsa disperata per salvarsi. Ma il fantasma non è più una inquietante bambina ma una giovane donna.

Sadako 貞子

Photo credits: Movieclips.com

Sadako è il fantasma di una diciannovenne con lunghi capelli corvini che le coprono completamente il volto e che uscendo dal televisore porta il malcapitato ad una violenta morte.

Questo fantasma è in realtà una creatura molto complessa, come tutti i fantasmi Giapponesi, la cui crudeltà non è dettata altro che dalla vendetta. E purtroppo, quando la missione di vendicarsi di chi gli ha fatto male nella loro vita umana si conclude, l’odio ormai ha preso il sopravvento. Ogni possibile redenzione è perduta.

Sadako Yamamura era il suo nome umano e in tutti i film abbiamo una visione della sua storia e sappiamo qualcosa del suo personaggio. Ma è nel prequel della prima saga, The Ringu 0: Birthday, che abbiamo una visione completa della sua vita terrena.

Photo credits: anythinghorror.wordpress.com

Prima di diventare il fantasma senza pace che caratterizza tutto il racconto Sadako nasce da un rapporto proibito. Di padre ignoto, si vocifera fosse un demone, sua madre era una sacerdotessa devota alle arti nere. Sin dall’infanzia viene perseguitata dalle voci secondo cui la vicinanza con lei porti sciagura e morte perché dotata di enormi ma oscuri poteri. Potrebbe avere un lieve spiraglio di luce in una vita tormentata quando ormai adolescente si trasferisce a Tokyo con il professor Ikuma. Ex amante della madre, il professore tratterà la giovane come una figlia che arrivata all’età adulta si iscrive in una compagnia teatrale. Qui, una serie di tragici avvenimenti la porterà a diventare attrice protagonista, ma con questo anche all’ascesa della parte maligna dentro di lei.

Si scoprirà infatti che in lei vivono due entità, la sua parte umana e buona, e la parte demoniaca dall’aspetto di una bambina. E saranno le vessazioni e la morte della sua parte buona, uccisa dai suoi colleghi, che faranno prevalere il lato demoniaco, e scateneranno la serie di fatali avvenimenti conseguenti.

Photo credits: noset.com

Ikuma cercherà di uccidere anche la Sadako malvagia buttandola in un pozzo e sigillandolo, ma l’entità sopravvive alla caduta pur restando imprigionata. Qui il demone diventa sempre più forte concretizzando alla fine il suo odio nella videocassetta maledetta che in sette giorni conduce alla morte chiunque la guardi.

Ma ciò nonostante non si può non nutrire compassione per lei, essere travagliato. Nell’ultimo attimo di umana lucidità, prima che la sua parte demoniaca prenda il sopravvento, ricorda Toyama l’unico ragazzo che abbia mai amato.

I film hanno una sostanziale differenza rispetto al libro di Koji Suzuki per quanto riguarda la storia del personaggio. La giovane ha infatti una vita ben più travagliata e molto più complessa, che si conclude con un destino fatale.

Banchō Sarayashiki 番町皿屋敷

Photo credits: Wikipedia

Il personaggio creato da Koji Suzuki, come molti altri del cinema horror giapponese moderno, prende spunto da una antica leggenda.

Parliamo della storia di Okiku e i nove piatti. Molto spesso anche il teatro Kabuki ne ha preso spunto per le sue rappresentazioni e ve ne sono diverse versioni.

In tutte la protagonista è Okiku, una bella e giovane serva che lavora per la famiglia di Aoyama Tessan un samurai innamorato di lei. Innumerevoli volte la ragazza rifiuta le avance del samurai che per farla cedere alla passione le fa credere di aver perso un piatto di finissima porcellana di un servizio da dieci. Okiku conta e riconta i piatti ma il decimo non salta fuori. La povera piange disperata perché sa che la pena che la attende è severa ma il samurai la rassicura dicendo che in cambio del suo amore non subirà punizioni. Okiku rifiuta è il samurai offuscato da un raptus di rabbia la spinge in un pozzo facendola morire. Okiku torna come fantasma per tormentare il suo assassino continuando senza sosta a contare fino a nove e poi iniziare a piangere. Solo un monaco esorcista riesce a liberare lo spirito durante la sua ennesima apparizione notturna. Dopo averla fatta contare fino a nove il monaco urla DIECI! cosi facendo libera Okiku ora pronta ad andare in paradiso.

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Ci sono, come già detto, diverse varianti di questa leggenda, tutte più o meno simili. In una la storia si svolge al castello Himeji e in alcune Okiku muore per un complotto di corte, in altre perché il suo amante, lo shogun, la uccide per aver rotto volontariamente il decimo piatto.

In ogni versione comunque si è mossi a compassione per questo personaggio, sicuramente oscuro ma allo stesso tempo infelice.


Japanese Culture: Lolita fashion

Lolita fashion - (ロリータ・ファッション Rorīta fasshon)

photo credit: mangakas-onfire.blogspot.it

Molto probabilmente chi ha una vena molto romantica, sospesa in un tempo indefinito nel passato, vorrebbe apparire come una meravigliosa bambola di porcellana. Magari vorrebbe avere abiti talmente vezzosi da far invidia a Maria Antonietta e partecipare a Tea Party da favola.

Tutto questo è possibile farlo grazie al fenomeno Lolita, una delle più famose ed elaborate mode Giapponesi. Questa è un misto tra Barocco e stile Vittoriano , molto amata in patria ma conosciuta ormai in tutto il mondo.
Il nome evoca ma non celebra il romanzo di Vladimir Vladimirovič Nabokov, ma questa moda non è un tributo ad una giovane e provocante sensualità. Infatti questa rappresenta la bellezza che cela l’ingenuità, l’eleganza nel celare più che nello scoprire. In più, il nome Lolita è un Wasei-eigo, termine che include tutte quelle parole anglofone che in lingua originale hanno un significato completamente diverso o sono addirittura inesistenti, ma sono entrate nel dizionario Giapponese.

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Non si sa precisamente quando sia nato questo stile d’abbigliamento. Alcuni sostengono già dalla fine degli anni 70, benché effettivamente è diventato celebre verso la fine degli anni novanta. Questa moda è stata fortemente influenzata dal genere musicale Visual Kei. E non a caso, perchè questo tipo di musica è fortemente teatrale non solo nelle note ma anche nell’abbigliamento delle band stesse.

Esemplari sono i MALICE MIZER anche grazie a Mana co-fondatore e leader della band (chiamato anche Mana-sama dai suoi fans). Mana ha influenzata particolarmente la moda lolita coniando il termine “Gothic Lolita” e firmando il suo personale brand Moi-même-Moitié.

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Gothic Lolita e Sweet Lolita

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Lo stile Lolita e diviso in due correnti ben distinte (a loro volta divise in molteplici sottostili): il Gothic Lolita forse il più celebre, e lo Sweet Lolita.

GothLoli (ゴスロリ gosu rori): Il Gothic Lolita come detto è il genere più conosciuto ma questo nome viene erroneamente attribuito a tutta la moda. Colore dominante è il nero e né si celebrano tutte le più possibili sfumature. Non vengo però disdegnati nemmeno i colori scuri come il rosso bordeaux, il blu scuro, il viola o il verde smeraldo. Questi colori sono spesso utilizzati nelle stoffe come nel make-up con un pesante e drammatico smokey eyes e il rossetto che risalta su una cipria bianca. Di fatto è l’unica eccezione nella moda Lolita dove si utilizza questo tipo di cipria, perché negli altri stili si preferisce un look più naturale. I fitti ricami degli abiti si ispirano a macabri racconti con i loro teschi; o si ispirano a tematiche religiose con croci (appunto gotiche) presenti spesso anche nei gioielli. Bare usate come piccole borse e ombrellini neri di pizzo ne rifiniscono l’outfit.

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L’Aristocrat è uno dei numerosi sottogeneri del Gothloli ma più maturo e sobrio, come dice il termine stesso, volutamente “aristocratico” e molto elegante.
Dato che la moda Gothic Lolita si basa sullo stille Vittoriano, che come ricordiamo è l’emblema del gotico e del raffinato, c’è da notare la similitudine con lo stile più occidentale detto steampunk.

Ama-loli (甘ロリ ama rori): Lo Sweet Lolita invece predilige colori pastello preferibilmente il rosa. E lo stesso vale per il makeup qui meno drammatico, quasi più naturale. Resta comunque elaborato, enfatizzando gli occhi con toni rosati e ciglia finte per uno sguardo da bambola, così come nuance tenue per le labbra. Questo stile come il precedente prende spunto dall’epoca Vittoriana ma è più influenzato dal Rococò francese. È uno stile Lolita più “infantile”, e qui la fanno da padroni fiocchi e nastrini. Le trame dei vestiti sono ispirate al mondo delle favole, unicorni e piccole miniature di pasticcini francesi come i Macaron. Sono gioielli da sfoggiare assieme a zaini a forma di orsetti o coniglietti e l’eroina a cui ispirarsi è “Alice nel paese delle meraviglie”.

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Sottogeneri e il Principe

Il mondo lolita è davvero molto vario ed elaborato, esistono generi per tutti i gusti. Il Wa Lolita ad esempio è un mix tra i vestititi lolita e le stoffe dei Kimono tradizionali, con Obi ad adornare la vita e i classici sandali Geta come calzature; Il Qi Lolita che si riffa allo stille Cinese dove al posto dei Kimono si modificano i qípáo; il Sailor Lolita che si basa sulla classica divisa scolastica con la sua variante più elaborata; o ancora il Pirate Lolita.
E se si pensa che lo stile lolita sia solo “zucchero e cannella” abbiamo anche il Guro Lolita. Qui le lolita si ispirano all’horror con sangue finto che risalta su candidi abiti bianchi per dare l’idea di essere bambole di porcellana in frantumi.

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Ma ci sono davvero molti altri esempi da citare. Una nota particolare bisogna farla però per lo stille Ōji (王子 principe) per chi crede erroneamente che la moda lolita sia solo femminile. Lo stile Principe si basa sui modelli di vestiti usati dai giovani Dandy Vittoriani e qui vediamo la comparsa di pantaloncini corti e calze al ginocchio. Questo però non significa sia solo maschile. Se una ragazza si affacciasse al mondo lolita ma volesse avere uno stile più androgino questo tipo di abbigliamento fa per lei.

I must have, i vari Brand, anime e l’influenza fuori dal Giappone

Esistono alcuni oggetti di culto che ogni Lolita che si rispetti possiede nel proprio guardaroba: le Cutsew, camicie con enormi fiocchi e maniche a sbuffo o le Petticoat ovvero sottovesti per ampliare i vestiti e le gonne. Per chi si domanda invece come fanno le Lolita ad avere dei capelli tanto meravigliosi e folti … beh, sappiate che sono parrucche. Le lolite le decorano poi con enormi fiocchi e i Bonnet, i classici cappelli di una volta, e le scarpe iconiche sono modello Mary Jane. Queste, anche se nate all’inizio del secolo scorso per i bambini ormai sono le scarpe che ogni lolita che si rispetti indossa.

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Oltre il brand di Mana-sama, altri molto conosciuti sono Angelic Pretty, e Baby, The Stars Shine Bright quest’ultima con boutique non solo a Tokyo ma anche a Parigi e San Francisco. Bisogna ammettere che la moda lolita è molto dispendiosa, ma esistono Indie brand belli quanto le marche più famose ma sicuramente meno dispendiose. Ed in Giappone è possibile acquistare abiti lolita anche nei grandi magazzini e volendo ci sono siti web appositi per comprare abiti lolita di seconda o terza mano. In altre parole è diventata una moda per più tasche.
Il fenomeno lolita ha trovato la sua strada anche in molti anime di successo. Esemplari sono Paradise Kiss di Ai Yazawa meglio nota per essere la mamma di Nana; Princess Princess anime dove la moda lolita e vista tramite gli occhi di tre ragazzi; Le Portrait de Petit Cossette, versione femminile e Noir del ritratto di Dorian Gray; e Rozen Maiden dove protagoniste sono appunto delle bellissime bambole.

Come già detto, le Lolita non sono famose solo in madre patria, ma dall’America a tutta l’Europa si possono incontrare piccole comunità di Lolita. Queste si riuniscono in raffinate Tea House per celebrare il Tè delle cinque con la classe e lo stile che le differenzia da qualsiasi altra moda.


Japan History: Uesugi Kenshin

Uesugi Kenshin

Photo credit: wikipedia.org

Uesugi Kenshin( 上杉 謙信), Il drago di Echigo, condottiero e abile stratega, saggio amministratore e uomo d’onore. Sono molti i nomi da lui usati nel corso della sua intensa vita, molte le battaglie e i nemici affrontati. Fra tutti Takeda Shingen e il famoso Oda Nobunaga che si dice esultò alla sua morte, tale era la sua fama e la sua abilità, ed è di lui vogliamo parlarvi.

Uesugi Kenshin nacque come Nagao Kagetora (長尾景虎) il 18 Febbraio 1530 e morì il 19 Aprile 1578. Cambiò il suo nome in Uesugi Masatora ereditando il nome della famiglia Uesugi nel momento in cui diventò Kantō kanrei (vice-shōgun della regione del Kantō). In onore dello shōgum Ashigaka Yoshiteru cambio ancora una volta il suo nome in Uesugi Terutora,per poi arrivare al nome che tutti conosciamo, cambiandolo quindi per l'ultima volta, in Kenshin. Ciò avvenne nel momento in cui diventò un monaco buddhista, fedele a Bishamonten, dio della guerra .
Kenshin era chiamato anche "Il drago di Echigo", perché era incredibilmente abile nelle arti marziali mentre il suo nemico Takeda Shingen era invece chiamato "La tigre di Kai". E infatti nella mitologia cinese il dragone e la tigre sono sempre stati visti come nemici, ma nessuno dei due riusciva mai ad avere la meglio sull'altro.

Primi Anni

Kenshin era il quarto figlio del grande guerriero Nagao Tamekage del clan Nagao. Suo padre era considerato grande signore della guerra grazie ad alcune vittorie contro Uesugi Sadanori e Uesugi Funayoshi. Tamekage entrò però in conflitto con il suo vicino Ikkō-ikki di Hokuriku, perché il potere nella regione aveva iniziato a spostarsi verso Ikkō. La situazione di Echigo peggiorò velocemente fino a quando il padre di Kenshin cominciò a marciare verso ovest nel 1536. Ma giunto in Etchu, le sue truppe furono attaccate da quelle di Enami Kazuyori e Tamekage stesso fu ucciso.
A quel punto, il primogenito di Tamekage, Nagao Harukage, prese il controllo dei Nagao dopo uno scontro con il fratello Kageyasu che, a causa del conflitto, morì. Kagetora (Kenshin) fu trasferito al tempio di Rizen, dove si dedicò allo studio. Fino all'età di 14 anni, quando fu contattato da Usami Sadamitsu e da alcuni conoscenti di suo padre. Volevano farlo tornare ad Echigo per combattere contro il fratello maggiore. Harukage infatti non era stato in grado di controllare le potenti famiglie kokujin e questo aveva provocato l'allontanamento delle province con Echigo.
Nonostante Kagetora non volesse scontrarsi col fratello, alla fine si convinse credendo che fosse una cosa necessarie per Echigo. In uno degli scontri, nel 1547, riuscì infine ad avere il controllo del clan da Harukage. Non si sa a quel punto il fratello maggiore che fine abbia fatto, non si sa se gli fu ordinato il suicidio o meno.

Kenshin a aveva ora il controllo del clan Nagao, ma molti territori erano ancora indipendenti, per questo decise di aumentare il suo potere in tutta la regione. Ogasawara Nagatoki e Murakami Yoshikiyo, due signori di Shinano, chiesero l’intervento di Kenshin contro l'avanzata del potente signore della guerra Takeda Shingen. Kenshin era diventato il nuovo signore di Echigo e Shingen con le sue vittorie nella provincia di Shinano aveva allargato i confini del suo dominio fino al confine con Echigo. A questo punto Kenshin decise di scendere sul campo di battaglia.

Uesugi e Takeda

Photo credit: wikipedia.org

Questo fu l'inizio di un conflitto leggendario, iniziato con piccole lotte, fino ad un un totale di 5 battaglie alla famosa piana di Kawanakajima.
Nel 1561, nella quarta battaglia, la più devastate, Kenshin uso una tattica ingegnosa. Era una tattica speciale in cui chi era in prima linea poteva scambiarsi con le retrovie in momenti di stanchezza per riprendersi. Così facendo nelle prime file potevano esserci sempre e solo soldati riposati e sani. Grazie a questa tattica, Kenshin fu sul punto di vincere più volte e si dice che addirittura cavalco col suo cavallo bianco verso il nemico colpendolo con la spada. Shingen parò il colpo grazie al suo ventaglio da guerra di ferro.
Quindi Kenshin non riuscì a sconfiggere una volta per tutte Shingen che riuscì ad organizzare un contrattacco.
L'esercito di Kenshin si ritirò. Non si sa come sia finita la battaglia, non è chiaro se fu Kenshin o Shingen a vincere. Una cosa è certa, entrambi persero moltissimi soldati. Kenshin perse 3000 Samurai e Shingen 4000, tra cui anche il suo fratello più giovane, Takeda Nobushige.

Sebbene Kenshin e Shingen furono rivali per più di 14 anni si scambiarono molte volte dei doni: il regalo più famoso fu una preziosissima spada donata da Shingen a Kenshin. Shingen morì nel 1573. Si dice che Kenshin pianse per la perdita del suo avversario e fece voto di non attaccare mai più le terre dei Takeda. Le due parti divennero alleate in 3 anni. C’era stato anche un incidente in cui un certo numero di daimyo aveva boicottato gli approvvigionamenti di sale per la provincia di Kai. Kenshin era venuto anche a conoscenza del problema di Shingen con un daimyo del clan Hojo, il quale si era rifiutato di inviargli del riso. Kenshin segretamente inviò del sale ai Takeda e scrisse al suo nemico, Shingen, che secondo lui il daimyo degli Hojo aveva commesso un'azione ostile. Anche se avrebbe potuto tagliarne i rifornimenti e quindi sconfiggere Shingen, Kenshin decise di non farlo perché sarebbe stato un atto disonorevole. A tal proposito, Kenshin dichiarò: "Le guerre sono vinte dalle spade e dalle lance, non dal riso e dal sale". Trattando così il suo rivale, impostò un nobile esempio valido per tutti i tempi. I fautori della pace utilizzano la dichiarazione di Kenshin, riferendosi a tale dichiarazione in questo modo: "La pace si fa con il riso e con il sale, non con le spade e con le lance".

Kenshin e Oda Nobunaga

「四十九年 一睡の夢 一期の栄華 一盃の酒」
« Questi 49 anni della mia vita sono passati come un sogno nella notte. Una esistenza piena di gloria e prosperità non è altro che una singola coppa piena di sake. »

Parte della poesia di morte di Kenshin.

A partire dall'anno 1576, Kenshin cominciò a esaminare la questione di Oda Nobunaga. Egli infatti nel frattempo era cresciuto fino a diventare il signore della guerra più potente del Giappone del momento. Con entrambe le morti di Shingen Takeda e Hōjō Ujiyasu, Kenshin non aveva più ostruita la strada per l'espansione del suo dominio. Quando la morte di un daimyō del clan Hatakeyama della provincia di Noto provocò confusione e conflitto nella zona per la successione, Kenshin colse subito l'opportunità. La conquista delle terre del clan indebolito lo mise in grado di minacciare Nobunaga e suoi alleati. In risposta, Nobunaga mise insieme le proprie forze e quelle dei suoi due migliori generali: Shibata Katsuie e Maeda Toshiie per scontrarsi con Kenshin nella battaglia di Tedorigawa. L'esperto Shibata Katsuie, che aveva servito Nobunaga fin dall'inizio, fu mandato per verificare la famosa reputazione in battaglia di Kenshin. Secondo alcune fonti, Shibata portò 18.000 uomini in battaglia da un lato, seguito da Nobunaga stesso con 20.000 uomini di rinforzi. Se queste informazioni fossero esatte, la battaglia combattuta da questi sarebbe la più grande combattuta nel periodo Sengoku.
Nonostante i numeri travolgenti di Nobunaga, Kenshin riuscì a compiere una solida vittoria sul campo. In un primo momento, Kenshin rifiutò di ingaggiare l'esercito di Nobunaga, fino a quando una pioggia torrenziale neutralizzò le unità di fanteria di Nobunaga stesso. Costretto ad una ritirata precipitosa, Shibata si riunì alla forza principale di Nobunaga.
Successivamente Kenshin riprese una tattica del suo vecchio rivale Takeda Shingen. Finse di mandare avanti una piccola unità per attaccare l'esercito di Nobunaga da dietro, dando al suo nemico una grande occasione per schiacciare la piccola forza rimasta. Nobunaga abboccò all'amo. L'esercito di Nobunaga attaccò di notte aspettandosi un avversario indebolito; invece il grosso dell'esercito di Kenshin era in attesa. Dopo aver perso quasi un quarto della sua forza, Nobunaga si ritirò verso la provincia di Omi. Kenshin si accontentò di costruire una qualche fortezza nella provincia di Kaga prima di ritornare indietro a Echigo. Nell'inverno tra il 1577-1578, Uesugi Kenshin mise in campo un grande esercito per continuare i suoi attacchi in terra di Nobunaga. Tuttavia, è risaputo che la sua salute fosse pessima in questo periodo, e il 9 aprile (secondo il calendario dell’epoca Tenshō ) peggiorò. Morì quattro giorni dopo.

La morte di Uesugi Kenshin

La causa della morte di Kenshin è stato oggetto di interrogativi nel corso degli anni. La teoria accettata dalla maggior parte degli studiosi giapponesi è che una vita da alcolizzato e forse il cancro allo stomaco hanno segnato la fine per il grande signore della guerra.
Altre fonti sostengono che fu assassinato da un ninja, che aveva atteso nella piscina sotto la latrina al campo di Kenshin con una lancia corta. Si noti che le teorie non si escludono a vicenda - l'assassino, se è esistito, potrebbe semplicemente avere ferito a morte un uomo già morente. Si dice che dopo aver sentito della morte di Kenshin, Oda Nobunaga abbia detto: "Ora l'impero è mio."

La morte di Kenshin fu disastroso per il clan. Kenshin non aveva mai avuto figli, ma aveva adottato due ragazzi affinché divenissero suoi eredi. Dopo aver saputo della morte del padre, i due entrarono subito in conflitto per il potere. Lo scontro si concluse con la vittoria di Uesugi Kagekatsu sul fratello Kagetora divenendo così il nuovo capo clan. Tuttavia, il conflitto interno aveva avuto enormi costi sia in materiali che in energie. Oda Nobunaga non ebbe problemi a conquistare velocemente molti dei territori degli Uesugi.
La distruzione del clan non era mai stata così vicina e solo la morte di Nobunaga stesso rimescolo nuovamente gli equilibri di potere in Giappone.

Curiosità

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La figura storica di Uesugi Kenshin e la sua fama non sono mai state dimenticate.
Il cantante visual kei GACKT ne ha interpretato il personaggio nella serie televisiva Fuurin Kazan, andata in onda dal 7 Gennaio al 16 Dicembre 2007.

A fine agosto (Il quarto sabato e domenica del mese) si tiene a Jōetsu, nella prefettura di Niigata, un festival in onore del grande guerriero, con la rievocazione della famosa battaglia di Kawanakajima. Nel periodo Sengoku infatti Jōetsu con il suo castello di Kasugayama erano il cuore del clan Uesugi.
E lo stesso GACKT ha più volte ripreso i panni di Uesughi Kenshin durante il festival, riscuotendo un grande successo.

La scrittrice Shino Ayako, che ha scritto il libro intitolato proprio "Kenshin donna" , aveva coltivato dubbi sulla sessualità di Kenshin. Ci sono varie voci ad alimentare la credenza che Uesugi Kenshin fosse una donna.

(1) Nella sua vita, non ha avuto nessuna moglie conosciuta (e neanche concubine) ne ebbe figli naturali. Si dice inoltre che alla compagnia di belle donne preferisse quella maschile. L'omosessualità potrebbe essere una spiegazione plausibile, in quanto all'epoca era una pratica normale nella classe samurai.
(2)Alcuni sostengono che la causa della morte possa essere stata “Omushi”, una malattia documentata come legata alla menopausa.
(3) Si dice che una volta al mese si confinasse nel castello.
(4) In riferimento alla sua armatura, era piccolo di statura alto circa 156 cm.
(5) Preferiva indossare vestiti che avevano colori femminili

Non ci sono prove a sostegno di queste voci, ma di sicuro queste si susseguirono ancora oggi, a testimonianza del fatto che la figura di Uesugi Kenshin ha lasciato un segno indelebile nella storia del Giappone.

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Japanese Tradition: Oiran

Oiran

Cortigiane che dettavano moda.

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Nell’antico Giappone le “donne di piacere” erano le Yūjo (遊女). Questo termine ne indicava il mestiere e marcava la differenza tra le prostitute comuni e le cortigiane ovvero le Oiran  (花魁).  La figura che vedremmo nel seguente articolo è proprio quella delle Oiran.

Il termine deriva dalla frase ‘oira no tokoro no nēsan’ (おいらの所の姉さん) ovvero “Mia sorella maggiore”.  La traduzione del nome potrebbe però anche essere “Il fiore che primeggia” scritto con i kanji: 花 (Hana) “fiore” e  魁(Sakikage) “leader”.  Questo temine fu coniato per le prostitute di alto rango del distretto a luci rosse di Yoshiwara (吉原) a Edo, l’odierna Tokyo. Venne usato successivamente per indicare le cortigiane.

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Le Oiran svolsero la loro attività nel periodo Edo, nei Yūkaku quartieri del piacere (da non confondere con le Hanamachi dove vivevano solo le Geisha). Questi quartieri venivano costruiti fuori dal centro città di Kyoto, Osaka e Edo, unici luoghi dove la prostituzione non era illegale. Al contrario delle Yūjo che vendevano i propri favori sessuali, le Oiran intrattenevano il cliente non solo con il corpo ma anche con le loro abilità. Queste comprendevano il Sadō o cerimonia del Tè, l’Ikebana, l’arte dei fiori, suonare vari strumenti, leggere e avere un’ottima cultura generale.  Infatti dovevano essere in grado di intrattenere il cliente anche  sostenendo con lui una brillante conversazione. Il rango più alto era costituito dalle Tayū (太夫) le quali potevano avere il privilegio di rifiutare i clienti.  Seguivano le Kōshi (格子). I loro clienti  erano parte dell’élite della società, come daimyō e ricchi feudatari, poiché la loro parcella era molto dispendiosa. Basti pensare che solo una notte con una Oiran equivaleva al salario annuale di un lavoratore. Per avere un incontro bisognava essere inviati dalle stesse per poi entrare in liste d’attesa di settimane.

L’ultima Oiran ufficiale visse fino 1761. C’è da notare che con la fama crescente delle Geisha man mano diminuivano le richieste per le Oiran. Oggigiorno non viene più svolta questa professione nel senso vero della parola ma ha la finalità di far rivivere le tradizioni del Paese, i vecchi usi e costumi.

La cosa affascinante di queste figure era che per via dell’isolamento dovuto alla legge sulla prostituzione (erano relegate in zone periferiche) vennero idolatrate e mistificate. In più dettavano mode e costumi. Erano loro che portavano le acconciature più particolari e i kimono più estrosi e ricchi, con Geta (sandali Giapponesi) alti quindici  centimetri.

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Shinano, Sakura e Bunsui.

Esistono diversi eventi durante l’anno che celebrano queste donne.

Il primo di questi si svolge in aprile a Tsubame nella regione di Hokuriku ed è il Bunsui Sakura Matsuri Oiran Dōchū. Si tratta di una parata famosa in tutto il Giappone dove ragazze di ogni regione si sfidano per avere il ruolo delle tre Oiran protagoniste: Shinano, Sakura e Bunsui. I nomi derivano dai fiori che nascono da tre specie diverse di ciliegi. Le ragazze sfilano davanti ad un corteo di minimo di settanta figuranti diversi tra Kamuro le loro aiutanti, servi e concubine. Ogni figurante viene selezionato ogni anno con la più massima accortezza.

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A settembre la parata Oiran Dōchū percorre Shinagawa, ed a inizio ottobre a Nagoya, intorno al tempio Ōsu Kannon, c’è lo Ōsu Street Performers Festival dove migliaia di spettatori assistono a due giorni di parata. Qui le Oiran sfilano nelle gallerie dei negozi dell’Ōsu Kannon district con tutto il loro entourage. Esso è composto dagli Yojimbo simili ai Samurai ma che hanno il ruolo di bodyguard, e dalle apprendiste.

Affascinanti, sensuali e misteriose come tutto in Giappone, donne dai mille volti e dai mille talenti, bellezze di un tempo passato.