Parole intraducibili: Mono No Aware, Shakkei, Hikikomori, Omotenashi, Betsubara

A tutti è capitato almeno una volta di navigare in internet e trovare articoli riguardanti le “parole intraducibili”. Infatti, spesso scopriamo che ogni Nazione possiede delle parole speciali con un determinato significato privo di una qualsivoglia corrispondenza nella propria lingua. Oggi anche noi di Japan Italy Bridge vogliamo provare a riassumere quelle parole particolari, uniche e talvolta magiche che racchiudono dentro si sé un intero mondo.

Parole intraducibili: Mono No Aware, Shakkei, Hikikomori, Omotenashi, Betsubara

Autore: Sara

parole intraducibili

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Parole intraducibili: Mono No Aware

La prima della lista delle nostre parole intraducibili è, 物の哀れ, “mono no aware”. Un concetto estetico che esprime una forte partecipazione emotiva alla bellezza della natura e della vita umana con un conseguente sentimento nostalgico legato al suo incessante cambiamento. Quindi letteralmente lo potremmo tradurre come “il pathos delle cose” o “la bellezza dell’effimero”.

Mono no Aware trova le sue radici nel periodo Heian, ma si è diffuso solamente nel periodo Edo, quando lo studioso Motoori Norinaga fece un’attenta analisi e critica dell’opera “The Tale of Genji” di Murasaki Shikibu definendolo come un perfetto esempio di “mono no aware”, ovvero la perfetta essenza della cultura giapponese. Da questo momento in poi, il percorso creativo di moltissimi artisti giapponesi ha avuto come perno proprio questo strano e complesso concetto. Troviamo infatti estremamente sentimentale la “caducità” delle cose a prendere il sopravvento, sia nelle opere letterarie così come in quelle cinematografiche. Questo lascia quella sensazione di “mancanza” per un finale che non appaga nè il lettore nè lo spettatore. Una dolce tristezza e consapevolezza che tutto è destinato a morire lentamente (e per questo va amato profondamente).

Shakkei

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La seconda espressione che vogliamo analizzare è 借景, “shakkei”. Questa volta si tratta di una particolare tecnica definita letteralmente come “paesaggio in prestito”, ovvero incorporare elementi esterni del paesaggio all'interno della composizione di un giardino, la perfetta fusione degli elementi a disposizione già presenti con l’estetica circostante.

Potremmo dire che l’intero Giappone si rifà al concetto di “Shakkei”. Tutto pare essere esattamente al posto giusto in modo armonico e non sfacciatamente calcolato e studiato. Una sorta di esaltazione della natura, come se persino i grattacieli fossero parte integrante e perfetta dell’intero paesaggio. In realtà però questa espressione si riferisce prettamente ai giardini dell’Asia Orientale che conferisce loro il fascino che conosciamo bene. I principi del “paesaggio in prestito” affondano le radici nello Sakuteiteki (antico trattato di giardinaggio giapponese) sviluppandosi sempre di più fino a raggiungere la massima popolarità durante i periodi Meiji e Taisho.

Hikikomori

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La terza parola è forse tra le più note e più ”pericolose”, si tratta di 引き籠もり, Hikikomori. Oggi è un triste fenomeno sociale che può avere conseguenze estreme e che va oltre al semplice “isolamento”. Ci sono persone che decidono di ritirarsi volontariamente dalla vita sociale, cercando livelli di solitudine estremi assumendo uno stile di vita deleterio a livello sia fisico che psicologico. La notte ed il giorno si invertono, I rapporti diretti spesso vengono sostituiti da quelli virtuali o, nei casi ancora più estremi, non esistono nemmeno. L’hikikomori si aggira per la propria stanza, privo di qualunque stimolo e questo, come è intuibile, sono caratteristiche che contraddistinguono i soggetti depressi con atteggiamenti ossessivo-compulsivi.

Il primo a dare un nome a questo particolare fenomeno fu il psichiatra Tamaki Saitō quando osservò che il numero di coloro che presentavano questa profonda letargia nei confronti della vita aumentava e le caratteristiche erano sempre le stesse. Possiamo quindi definire Hikikomori come una sindrome più che come una parola in sé.

Parole intraducibili: Omotenashi

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La quarta della lista è お持て成し, “omotenashi”. E’ davvero difficile trovare un equivalente che possa dare anche solo l’idea di questo meraviglioso concetto. Potremmo usare la parola “ospitalità”, ma è quasi riduttivo poichè essa esprime uno degli aspetti della cultura giapponese tra i più complessi e profondi. Omotenashi è la volontà di essere attento e prendersi cura degli altri. Significa anche dare importanza ai dettagli, avere la consapevolezza delle proprie azioni, possedere la sensibilitàe per ricercare l’armonia e far stare bene gli altri. Fu il monaco buddista Sen no Rikyū a stabilire i principi e le buone regole di condotta durante una delle più note cerimonie: quella del té, espressione di massima cura dell’ospite.

Omotenashi è quindi il Giappone, la base su cui è radicata l’etichetta comportamentale dell’intero Paese, anche se non è detto che questo senso di “ospitalità” si incontri sempre e comunque (tutto il mondo è paese: esistono anche giapponesi ben poco amichevoli!), ma lo si percepisce facilmente quando lo si sperimenta.

Betsubara

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L’ultimo termine che affronteremo oggi è べつばら, “betsubara”. E’ una parola che può fare sorridere e letteralmente significa “stomaco separato”. Questo è il posto in cui va tutto quella parte di dessert che, dopo aver dichiarato che non poter mangiare un altro boccone, lo si mangia comunque. E’ un po’ come quando si dice: “c’è sempre posto per il dessert” nonostante ci si senta già totalmente sazi. Ovviamente può essere inteso per qualunque cibo per cui si ha una debolezza: può trattarsi del ramen, del sushi, della pizza. Perciò ognuno di noi ha un “betsubara” differente! Il vostro qual è?


Lo shōchū e i suoi infiniti abbinamenti

Se ci seguite attentamente, sicuramente avrete sentito parlare dello shōchū più volte. Faccio un piccolo recap giusto per ricordarvi di cosa stiamo parlando: lo shōchū è un distillato da orzo, patate dolci o di riso. In genere, contiene il 25% di alcool quindi è più leggero della vodka ma più forte del vino. L’area di produzione di questo distillato è l'isola di Kyūshū, ma oggi viene prodotto praticamente in tutto il Giappone.

Lo shōchū e i suoi infiniti abbinamenti

Autore: SaiKaiAngel

shōchū

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La pandemia causata del COVID-19 ha fatto nascere o anche solo risorgere molte paure nella mente di molti, dalla paura di morire a quella molto più leggera dell’aumento di peso.
Siamo tutti ancora più alla ricerca di tutto ciò che può essere salutare… ebbene, sembra che lo shōchū possa essere proprio una delle cose che dovremmo cercare. L’'esperto di shōchū Stephen Lyman, autore del libro "La guida completa ai drink giapponesi" nominato anche per un James Beard Award, abbia sostituito birra e vino con lo shōchū e grazie a questo abbia perso sette chili in sette mesi! Ovviamente se diamo importanza alla perdita di peso non è assolutamente per una questione estetica, bensì per evitare patologie gravi come l’obesità.

Lo shōchū nel 2003 ha raggiunto una mola di vendita addirittura maggiore di quella del sake! La sua popolarità diventa sempre più grande, spinta anche dai suoi presunti benefici medici - che andavano dalla prevenzione dei coaguli di sangue al contenimento dell'obesità - che lo rendono una sana alternativa alle altre bevande alcoliche.

shōchū

photo credits: japantimes.co.jp

Lyman, nativo di New York, ha scoperto lo shōchū in un bar izakaya di Manhattan più di 12 anni fa ed è stato un amore a prima vista. Lyman spiega: "Mi è sempre piaciuto molto il vino e la birra artigianale. Le bevande distillate erano un po' troppo forti per me e sono sempre stato alla ricerca di una bevanda che potesse avere ottimi abbinamenti con il cibo"

Lo shōchū è ottimo per la dieta

Nel 2011 l’interesse di Lyman per questa bevanda è diventato una vera passione. Infatti, ha cominciato a berlo ancora di più quando un infortunio sportivo gli ha causato un aumento di peso. "Sapevo che lo shōchū era a basso contenuto calorico, così ho deciso di rinunciare al vino e alla birra per lo shōchū sei giorni su sette", dice. Nel giro di un mese Lyman ha perso due chili; dopo due mesi, cinque. Per questo, avendo trovato lo shōchū che poteva fargli perdere peso senza alterare il suo stile di vita, ha cominciato ad interessarsi a questa bevanda giapponese e a tutti gli abbinamenti possibili.

Lyman dice che l’abbinamento dello shōchū è possibile con più di 50 possibili ingredienti! Le note di shōchū più ricche funzionano con i cibi più pesanti e, in particolare, con i piatti a base di miso. Lo shōchū d'orzo ottenuto dalla distillazione sottovuoto con uno stile più leggero e aromatico, si abbina a piatti di pesce bianco, sashimi delicatamente aromatizzati e bolliti a fuoco lento. In generale, il dolce-potato shōchū invece si abbina a carni ad esempio di maiale, mentre il kokutō (zucchero nero) shōchū, che è simile al rum, si armonizza con la carne alla griglia. Il gusto pieno dello shōchū è un accompagnamento sorprendente per il cioccolato fondente.

L’Iichiko Silhouette, chiamato anche “il Johnnie Walker dello shōchū” sa di frutta a nocciolo e abbinato con l’acqua di soda si può servire insieme alla zuppa di anguria e menta. Lo shōchū Yamatozakura resiste alle spezie dolci e terrose del brasato di maiale taiwanese con anice e cannella. Invece il Komaki Issho Bronze, una bevanda alcolica di patate dolci di facile consumo, si abbina perfettamente a uno stufato vegano di patate dolci, ceci e arachidi.

shōchū

photo credits: mtcsake.com

Ma andiamo più nello specifico e analizziamo alcuni degli abbinamenti più gustosi:

Imo, shōchū di patate dolci

Costolette di maiale, pizza Margherita, tempura fritta
L'Imo ha un aroma e un sapore dolce, che si sposa bene con i piatti sostanziosi o con i cibi fritti. Si abbina bene anche al ricco cibo cinese o alla pizza con tanto formaggio.

Mugi, derivato dall'orzo

Salmone affumicato, caviale, carne di maiale affettata con salsa al limone
Il mugi ha un gusto molto pulito e fresco. Tecnicamente questo shōchū si sposa bene con qualsiasi tipo di cibo, ma si gusta meglio con un piatto semplice piuttosto che con un piatto oleoso. L'aroma dell'orzo esalta la salsa di verdure.

Kome, shōchū di riso

Sashimi, trota marinata al miso, bistecca di tofu
Il kome ha un umami (sapore) che si sposa con qualsiasi tipo di cibo, ma particolarmente indicato con la delicatezza del sashimi. Si può anche gustare con piatti a base di riso.

Kokuto, derivato dalla canna da zucchero

Yakitori (pollo alla griglia), pasta primavera, insalata di mozzarella
Lo shōchū Kokuto è fatto con la canna da zucchero e può avere un sapore un po' fruttato. La fragranza del kokuto è simile a quella dello sciroppo dolce, ma il gusto è molto semplice e delicato e non estremamente dolce. Questo gusto particolare può far emergere i sapori originali del cibo. ed è indicato con i piatti a base di salsa di soia che hanno una leggera dolcezza.

Awamori shōchū

Costoletta di maiale, lasagne, frittella di banane
L'Awamori ha un aroma particolare e un sapore ricco che si sposa bene con i cibi piccanti o pesanti come ad esempio un formaggio o un piatto cremoso.

Soba shōchū

Penne arrabiata , ostriche fritte, polpette
Le caratteristiche del soba sono molto blande e chiare, ma allo stesso tempo un po' amare. Questo shōchū può essere gustato con cibi leggermente piccanti o carni succose.

Sono sicura che appena finito di leggere questo articolo starete già cercando lo shōchū che fa per voi, pronti per un’avventura completamente nuova e per pranzi e cene completamente diversi?

 


Chadō, la Cerimonia del tè giapponese

Se c’è qualcosa in cui i giapponesi sono veri maestri è nel vivere in armonia con la vita stessa, lo dimostra la cerimonia del tè giapponese, conosciuta anche come Chadō. Un dono vero e proprio, quella loro innata capacità di fluire naturalmente con tutto ciò che accade a partire dai più piccoli gesti quotidiani. Radicati nel qui e ora, pienamente in sintonia con il momento presente.

Chadō, la Cerimonia del tè giapponese - 茶道

Autore Ospite: Flavia

Chadō

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Non c’è dunque da stupirsi che il popolo del Sol Levante abbia saputo tradurre tale straordinario talento in svariate forme d’arte. Veri modi di vivere (le cosiddette Vie - 道, Dō ). Attraverso cui esprimere la loro capacità di cogliere il senso dell’esistenza. Il Chadō o Sadō ( 茶道 ), ossia la Via del Tè, è una delle più significative e apprezzate. Altrimenti detta Cha no Yu ( 茶の湯) - letteralmente “Acqua calda per il tè” - essa si configura come un rituale sociale volto ad educare l'individuo. Una vera filosofia di vita nonché forma estetica che ha fortemente permeato la cultura giapponese. Ma come ha avuto origine questa tradizione?

Il matcha, dalla Cina meridionale in seno allo Zen

Originaria sembra della regione dello Yunnan, la pianta da tè è nota per le sue proprietà terapeutiche sin dai tempi più antichi. Inizialmente utilizzata come medicina naturale, diverrà forma di “diletto” solo in un secondo momento. Il suo consumo nasce in ambiente monacale, venendo utilizzato dai monaci per favorire la concentrazione durante la meditazione o gli studi. Sbarcherà in Giappone all’inizio del periodo Heian per mano dei monaci giapponesi che si recavano in Cina per studiare lo Zen (禅, dal cinese chán).

La tradizione attribuisce in particolare al monaco Myōan Eisai – vissuto tra il XII e il XIII secolo – il ruolo di precursore della cerimonia del tè. Egli infatti introduce in Giappone la forma di Buddismo Zen Rinzai (Linzhi o Linji, in cinese) e con esso uno specifico metodo di conserva e preparazione del tè. In sostanza, esso prevede che il tè venga tenuto al riparo da luce e ossigeno e preparato secondo il metodo della sospensione (invece che per infusione): ciò consente di preservare maggiormente le sue proprietà. Il tè associato alla cerimonia diverrà noto come Matcha ( 抹茶 ), ossia tè polverizzato. Da quel momento il consumo di tè inizierà a diffondersi su larga scala, uscendo dai circoli monastici e aristocratici presso cui sino ad allora era rimasto confinato.

photo credits: tesoridoriente.net

Dunque il Tè (Cha, 茶) affonda le sue radici nella dottrina Zen, che rimarrà decisiva anche per la diffusione del Chadō, permeandolo inesorabilmente. Zen e teismo si sviluppano perciò di pari passo (dal XII secolo). Ruolo chiave qui ce l’avrà l'altrettanto nascente classe samuraica destinata di lì a poco a dominare la scena. La casta accoglierà la dottrina Zen, che farà totalmente sua, e il culto del tè come una sorta di status symbol.

Rikyū, padre del Cha no Yu

Dopo Eisai, altri maestri lasceranno un'impronta sul Chadō ancora in forma “embrionale”. Si tratta di Murata Jukō padre dello stile Wabi-cha ( 侘茶 ) – già ben distintivo dello stile giapponese rispetto a quello cinese – e di Takeno Jōō. Tuttavia in questo stadio essa non può ancora configurarsi come vero e proprio rito cerimoniale. Bisognerà attendere il XVI secolo, affinché una codifica vera e propria abbia luogo e la tramuti nella forma che è giunta fino ai nostri giorni.

Artefice di tale riforma, nientemeno che lo storico maestro del tè di Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, Sen no Rikyū, la cui impronta sarà rivoluzionaria. Egli si spingerà più in là di Murata Jukō, andando completamente a intaccare il gusto estetico degli Shōgun. Prima del suo intervento infatti l’esecuzione avveniva in funzione degli oggetti, pensata cioè ad una loro esibizione. Con Rikyū, il fulcro diventano le persone e la cerimonia si fa meno elaborata e più essenziale. Inoltre egli fissa delle vere e proprie regole attorno al concetto di wabi ( 侘び ) – ossia la bellezza che risiede nell'essenzialità e nella semplicità – applicato allo svolgimento della cerimonia e ai gesti da eseguire. L’importante visione Zen del Wabi Sabi ( 侘寂 ) – che avremo modo di approfondire in un prossimo articolo – viene così consacrata come concetto cardine, anima, del Cha no Yu.

Chadō, i quattro principi fondanti

4 sono i principi Rikyū sintetizza per lo svolgimento del Cha no Yu. Esse riguardano sia le persone che vi prendono parte sia gli utensili usati nonché la stanza stessa. Naturalmente mutuati dall'estetica Zen, essi sono:

  • Wa (和), Armonia. L'assenza di squilibri o estremismi nell’interazione fra ambiente circostante, cose e persone. Attenzione particolare è posta sull’interazione fra ospiti e padrone di casa: mettere a proprio agio gli invitati, diviene un punto cardine.
  • Kei (敬), Rispetto. Riconoscenza per l'esistenza di cose e persone. È necessario un animo sincero: solo un animo aperto sarà in grado di percepire cose e persone nella loro vera essenza ( kokoro, 心 ) entrandovi così in autentica comunicazione.
  • Sei (清), Purezza. L'assenza di attaccamenti alle cose terrene. Senza tale purificazione, una vera comunione con il Tutto è irraggiungibile. Essa è ripresa simbolicamente dal sentiero in pietra roji ( 路地 ) collocato nei giardini all'esterno delle case da tè. La varietà di forme e distanze tra le pietre non a caso è pensata per educare l’invitato già dall’esterno ad un esercizio cosciente dell’attenzione.

cerimonia del tè

photo credits: iaininjapan.deviantart.com

In un certo senso la cerimonia del tè comincia già dal giardino. Poiché esso aiuta coloro che percorrono tale sentiero (una Via) ad armonizzarsi con la natura ancor prima di mettere piede nella stanza da tè. Il principio è altresì “evocato” dalla purificazione simbolica dei partecipanti che, una volta invitati a entrare dal padrone di casa, devono sciacquare bocca e mani.

Jaku (寂), Serenità. Lo stato che si consegue in modo naturale dalla messa pratica dei tre suddetti principi già a partire dalla vita quotidiana.
Se i cuori di tutti i presenti saranno aperti e ricettivi al vuoto di quel momento, se la mente avrà lasciato aldilà del giardino quel mondo esterno: nascerà un’armonia così profonda che ambiente, cose e persone...diventeranno tutt’uno. In una fusione perfetta dove il dualismo si dissolve e non si sa più dove i confini di uno o dell’altro terminano o hanno inizio.

Chadō, Meno è più: la bellezza secondo la sensibilità giapponese

In quest’ottica la negazione diviene un valore positivo, lo stato mentale per eccellenza. Ciò si riflette nella ricerca di uno stile frugale che rifugge ostentazione e superfluo, già a partire dalla stanza da tè, la Chashitsu ( 茶室 ).

Quest’ultima deve risultare spoglia da eccessivi elementi terreni: nell’ottica zen del maestro Rikyū occorre limitare al massimo gli stimoli sensoriali. Lasciare spazio al vuoto, al fine di svuotare la mente. Sarà poi il vuoto stesso a dare spazio ai suoni che da esso spontanei emergeranno e che altrimenti troppe sollecitazioni sensoriali finirebbero per eclissare. I suoni assumono così maggiore profondità e la coscienza ne è affinata. La percezione risulta infatti amplificata grazie al silenzio non soltanto uditivo ma anche visivo, olfattivo, tattile e gustativo. I sensi vengono letteralmente educati a non essere dipendenti dagli stimoli, favorendo però in tal modo una loro maggiore recettività. Potrà sembrare un discorso paradossale ai più. Ma se voi che state leggendo avete compreso finora la sensibilità che soggiace a tale filosofia, avrete senz’altro compreso anche questo.

La stanza perciò deve essere minimal, non tanto illuminata, “intima”. Deve trasmettere accoglienza. Le interazioni verbali ridotte al minimo, anche perché si può far qui spazio una comunicazione non verbale. Tutto è progettato al fine di creare un'atmosfera meditativa– tipica dello Zen. Viene quindi consigliato di tenere gli occhi socchiusi in modo da lasciar fluire le immagini che giungono nel nostro campo visivo evitando al nostro senso di “ritenerle” oltremodo.

La semioscurità della stanza restituisce valore agli altri sensi diversi dalla vista, solitamente da questa un po’ soverchiati. Il tatto ad esempio che emerge nel contatto con la tazza da tè, in particolare se si tratta della raku ( 楽 ), tazza simbolo nel Chadō e nel Wabi Sabi in virtù delle sue forme imperfette che la rendono unica e irripetibile. Oppure nel caso dei tradizionali Wagashi ( 和菓子, letteralmente “dolce giapponese” ), dove il senso dominante sarebbe il gusto, troviamo invece coinvolti anche la vista e gli altri sensi in modo sopraffino. Ma soffermiamoci sul concetto di irripetibilità.

Ma soffermiamoci sul concetto di irripetibilità.

Chadō Chadō

photo credits: moroalberto.com

Ichi go, Ichi e (一 期 一 会), metafora della vita

Letteralmente «una volta, un incontro», Ichi go-Ichi e è un'espressione Zen che rimanda all’idea di transitorietà. Ci rammenta come ogni singolo incontro sia unico e irripetibile. Sì, nel tempo possiamo ripetere il rituale del Chadō quante volte vogliamo, ma ogni volta rimane unica in sé stessa e ben distinta dalle altre. L'atmosfera vissuta in ogni incontro non potrà mai ripresentarsi uguale le volte successive. Pertanto ognuno di essi va apprezzato…quale incontro che capita solo una volta nella vita.

Così nel Chadō, così nella vita: lasciamo andare passato e futuro. Prendere da essi la conoscenza che ci serve per il nostro apprendimento, sì, ma quanto basta a non rimanerci imbrigliati con la mente. Altrimenti corriamo un rischio: quello di non apprezzare per tempo le cose che sono con noi qui e ora. Rimanendo, in tal caso, con il rimpianto di non averle sapute vedere nel loro valore (ricordate il Kei, Rispetto) allorché queste terminino il loro tempo nella nostra vita.

Ecco allora che la saggezza Zen ci viene incontro, ricordandoci che questo è il momento su cui concentrarsi, nel qui e ora, apprezzando il più possibile quello che si ha ora che lo si ha. Occorre vivere adesso, e viverlo, in ogni singolo irripetibile istante. Ma del resto, che cos’è l’arte del Cha no Yu se non anch’essa vita stessa?

Kata - Katachi: quando la forma diventa parte di te

Nel Chadō ogni gesto non è casuale: movimenti e respirazione devono essere armonizzati, al fine di trasmettere serenità nel porgere quella tazza di tè. Dovete sapere che la cultura giapponese attribuisce molta importanza al concetto di forma (kata, 型), ossia i gesti codificati da determinati principi. Non schemi fini a sé stessi ma modo per conseguire una fusione corpo-mente-spirito e di conseguenza armonia con l’esistenza stessa (il concetto permea a tal punto la loro visione del mondo da avere anche una sua piccola forma linguistica).

Quando un praticante arriva ad incarnare i kata al punto da non sentirli più come qualcosa di esterno a sé - da mettere “in scena” - allora si parla di katachi ( 形) ovvero di “forme interiorizzate”. Attraverso i kata il praticante apprende pazienza, precisione, resilienza...e ne viene forgiato. Proposito finale: il raggiungimento dell'armonia con sé stessi e il mondo circostante.

Osservare-eseguire, fino ad interiorizzare: tale è l’impostazione alla base di tutte le forme d’arte-discipline giapponesi. Fa proprio parte del loro animo. Loro non fanno altro che declinare tale loro sentire in svariati ambiti della vita. Un modo di vivere (la Via) che dà origine a forme d’arte e disciplina le quali, a loro volta, guidano il percorso di vita dell’individuo. Un perfetto cerchio che si chiude…

Ma la ricerca del gesto perfetto porta in sé un altro magico dono, quello di dilatare il tempo. Il momento presente viene cristallizzato e in quel frangente la profondità dei sensi ci mette in comunione con la natura.

Attenzione però: non si tratta di fuga dalla realtà. A volte per la mente umana il confine tra le due può essere molto sottile, ma è un errore: rifuggire la realtà significa in verità estraniarsi dall’essere presenti. Nessuna fuga dunque così come nessun attaccamento (due estremi di evitare). Ma lucida, consapevole fusione con ciò che in quel luogo, in quel momento sta avvenendo. Con la realtà.

La Via del tè richiede pertanto una vera disciplina psico-fisica su sé stessi e una lunga preparazione. Tant’è che nel processo di perfezionamento di sé stesso - come in ogni disciplina spirituale che si rispetti - il praticante può venire ostacolato dall’emergere umano di sentimenti quali pigrizia, apatia o altre zone d’ombra.

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La cerimonia

Il rituale è molto complesso, soprattutto nella sua forma estesa. Esiste infatti una versione tradizionale della durata di ben quattro ore(!) riservata ad eventi formali (Chaji, 茶事 ) ed una ridotta per le occasioni informali (Chakai, 茶会 ). Allo stesso modo, le Chashitsu possono distinguersi in piccole (Koma, 小間) o grandi (Hiroma, 広間). La Koma è la stanza wabi-cha par excellence, mentre la Hiroma ben si adatta a circostanze più ufficiali.

Durante la cerimonia l'acqua per il tè viene fatta bollire in una teiera di ferro o ghisa. Quando è pronta, se ne versa un po’ nella tazzina in ceramica dove si sia in precedenza portato il matcha. Quindi, il tutto è sbattuto con un frullino in bambù. La comparsa della schiuma segnala che il tè può essere servito.

Ma vediamo cosa accade a seconda che ci troviamo in un evento formale o informale.

茶事Chaji

  • Prima del tè. Poiché bere e mangiare non vanno mai di pari passo, prima viene offerto il pasto tradizionale Kaiseki ( 懐石o会席 ). Terminato il pasto, in fase successiva vengono offerti i Wagashi. Verranno abbinati Wagashi diversi a seconda che il tè sia denso o meno (come vedremo a breve anche nel Chakai).
  • Koicha. Gli ospiti ricevono un tè denso e ne condividono l'assaggio dalla stessa tazza. Il maestro porge la tazza agli ospiti che, uno ad uno, ne contemplano l’estetica, ne gustano il tè a piccoli sorsi, e infine la porgono all’ospite successivo.
  • Usucha. Gli ospiti bevono singolarmente tutta una tazza di tè, stavolta non più denso, ne asciugano i bordi restituendola al maestro che provvede a sua volta a lavarla, asciugarla, e prepararla per l’ospite successivo.

La cerimonia in questa forma è molto elaborata, pertanto sono contemplate pause e anche cambi di stanza.

Chadō matcha

photo credits: pinterest.co.krpinterest.it

茶会 Chakai

  • Prima del tè. Qui gli invitati ricevono soltanto i dolci tradizionali Wagashi, nello specifico: Higashi (dolci secchi) se viene servito l’Usucha, Omogashi (dolci morbidi) se si tratterà di Koicha. In ogni caso, il dolce andrà compensare il sapore amarognolo del matcha.
  • Koicha oppure Usucha. Essendo il tempo a disposizione minore, solo una delle due modalità potrà essere presentata. Starà dunque al teishu (maestro cerimoniere) stabilire quale eseguire.

Tutto quanto concerne i comportamenti da tenere o meno nel corso della cerimonia è detto Otemae (お点前). Esso è noto come «galateo», tuttavia è molto più di questo. Il modo stesso in cui la cerimonia viene posta in essere fin dai preparativi (allestimento, pulizia e così via) costituisce già la Via del Tè. E dunque, l’Otemae.

Vie dentro la Via, Arte dentro l’arte

La Via del Tè è emblematica. Poiché in sé racchiude altre forme d’arte che, già di loro, costituiscono un mondo a sé stante. Altre Vie che intersecano e si snodano in quella del Tè creando un sodalizio unico ove quella fusione perfetta - di cui si parlava più sopra - sta già prendendo forma. La tecnica artigianale delle ceramiche Raku ad esempio è perfetta ad incarnare lo spirito zen della Via del tè: nell’estrarre dal forno le tazze ancora incandescenti essa ne valorizza la naturalezza delle forme irregolari generatesi in modo del tutto casuale.

La meravigliosa arte dei Wagashi dal canto suo si è evoluta parallelamente al Chadō, trovando in esso massima espressione. Influenzata dalla filosofia Yin e Yang e dei cinque elementi, i suoi disegni e i suoi colori ispirati a natura e stagioni promettono un risveglio dei cinque sensi. Annoveriamo poi anche Chakaiseki (茶懐石, cucina Kaiseki applicata al Chadō), Chabana (茶花, Ikebana applicato al Chadō), l’architettura stessa. Perfino la poesia: fra le interazioni verbali possibili è contemplata la possibilità per il padrone di casa di citare un Haiku (tipico componimento poetico) a riferimento stagionale. Tutte ci rammentano che anche le cose hanno uno spirito. E che esso va nutrito, rispettato, contemplato…esattamente come il nostro.

Chadō Chadō

photo credits: sweetsofjapan.com, Flickr

Un universo racchiuso in una singola tazza di tè

La Cerimonia del tè è dunque una pratica meditativa a tutti gli effetti che con la “scusa” di una tazza di tè ci conduce alla porta di accesso della nostra Coscienza. Tale intento è alla base di tutte le forme d’arte giapponesi: servirsi delle cose terrene senza rimanerne imbrigliati. Saper cercare, sentire, lo spirito all’interno dell’esperienza terrena in esso inevitabilmente inclusa. La chiave non è escluderla: ma semplicemente non rimanerne imbrigliati.

Da ragazzina io stessa non capivo la necessità di dover mettere in atto tutti quei gesti. Ora, dopo aver sperimentato un particolare stato di vuoto semplicemente grazie a un paio di bacchette (hashi), tutto mi è diventato cristallino. Comprendendo nel mio cuore l’amorevole atto di questo popolo, nel cercare di esprimere tale verità. Ecco perché solo facendone esperienza di persona potrete veramente capire.

Oggi le principali scuole Chadō derivano dai discendenti di Sen no Rikyū e sono: la Omotesenke, la Urasenke e la Mushanokojisenke. Esse presentano differenze tecniche e stilistiche che tuttavia non intaccano quello che è lo spirito alla base del Cha no Yu. Vi sono poi altre scuole minori. Fra queste: la Oribe-ryū discendente da Furuta Oribe (allievo successore del Rikyū) e la Yabunouchi-ryū fondata invece da tal Yabunouchi Kenchū Jōchi che fu discepolo di Takeno Jōō al pari di Sen no Rikyū.

Infine occorre segnalare la meno nota Senchadō (煎茶道), la variante “per infusione” del Cha no Yu, che si serve del pregiato tè verde in foglie. Più recente del Chadō, essa nasce con un tono più conviviale e meno “spiritualmente impegnato”, benché vi si ispiri in diversi aspetti. Tuttavia se ne differenzia per essere meno rigida e più focalizzata su piacere estetico e pregiatezza degli utensili.


Focus on: ferro Nambu

Se pensiamo ad un tipico arredamento giapponese, ci vengono subito in mente una teiera in ferro, noto anche come Nambu.

Il ferro Nambu e la sua storia

Autore: Erika | Fonte: Tokyo Weekender

Nambu Tekki, ovvero il ferro Nambu è un metodo di lavorazione del ferro tipico della città di Morioka nella prefettura di Iwate. Creata nel mezzo del periodo Edo, questa lavorazione artigianale prende il nome di Nambu dall’omonimo dominio feudale. Le tecniche moderne utilizzano anche il metallo fuso prodotto vicino a Morioka, in Sendai o nell’attuale città di Oshu.

Nambu

Resistenti alla ruggine, durature e ben isolate, questi oggetti forniscono una circolazione uniforme del calore. Infatti, l’esterno dei bollitori ha una trama irregolare chiamata arare o grandine. Questa viene utilizzata spesso nelle stoviglie di ferro Nambu e i bollitori ne sono il prodotto rappresentativo. Tuttavia, i vari modelli cambiano da artigiano ad artigiano poiché ogni artista è libero di creare il suo modello a piacimento.

La Storia del Ferro Nambu

I prodotti in ferro Nambu affondano la loro storia sulla produzione di stoviglie per la cerimonia del Tè durante l’omonimo dominio a metà del XVII secolo. Grazie all’abbondanza di risorse di ferro, Morioka è stata un’area perfetta per l’industria della fonderia.
Infatti, nel 1659, un signore feudale che voleva promuovere la cerimonia del tè, ordinò a Nizaemon Koizumi di trasferirsi a Kyoto. Proprio qui, nell’area intorno al castello a Nambu, iniziò la produzione dei bollitori.

La Famiglia Koizumi

Artigiani per eccellenza durante il dominio Nambu, questa famiglia lanciò per la prima volta le pentole utilizzate per la cerimonia del tè. La tecnica di colata del tè e il controllo furono tramandate infatti di padre in figlio. Non solo prodotti tradizionali, ma questa famiglia fu anche fulcro di innovazioni per l’epoca. Infatti, il famoso Bollitore di ferro Nambu fu inventato dalla terza generazione della famiglia Koizumi. Lo stesso imperatore Taisho che regnò dal 1912 al 1926, visitò la regione di Tohoku proprio per questa famiglia. Infatti, nel 1908, in occasione della visita, l’ottava generazione dei Koizumi mostrò all’imperatore il processo di produzione di questi utensili in ferro. Questo evento fu talmente famoso che tutti i giornali nazionali dell’epoca ne parlarono. Infatti, ancora oggi tutti i pezzi prodotti nelle zone di Morioka e Mizusawa ad Iwate, sono chiamati “Prodotti Nambu”.

Nambu Ironware

Più che solo per il tè

Nonostante i prodotti legati alla cerimonia del tè siano quelli più famosi tra le produzioni di ferro Nambu, ci sono tanti altri articoli legati alla casa che si possono acquistare. Infatti, i cuochi della cucina occidentale sanno bene che uno dei migliori investimenti che si possono fare è una padella in ghisa.
Tuttavia, altri oggetti in ferro Nambu che si vale la pena di acquistare sono il furin (lo scacciapensieri giapponese), porta incenso, piccole decorazioni ma anche portabacchette.

Nambu

Avete mai acquistato qualcuno di questi prodotti o vi piacerebbe prenderne qualcuno? Fatecelo sapere nei commenti o sulla nostra pagina Facebook!


Japan History: Yukio Mishima

Yukio Mishima pseudonimo di Kimitake Hiraoka (Tokyo, 14 gennaio 1925 – Tokyo, 25 novembre 1970), è stato uno scrittore, drammaturgo, saggista e poeta giapponese e proprio quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della sua morte.

50 anni dalla morte di Yukio Mishima

Autore: SaiKaiAngel

Yukio Mishima

photo credits: @williert

Mishima è stato un personaggio molto controverso, considerato vicino al Fascismo in Europa e secondo molti critici un nazionalista nipponico in chiave nostalgica. Alberto Moravia lo definì un conservatore decadente. I due si incontrarono nella casa di Mishima in stile occidentale liberty in un sobborgo di Tokyo. Yukio Mishima, invece, si autodefiniva apolitico e antipolitico. Fortemente patriottico, ispirò anche numerosi personaggi delle sue opere, e il culto per l'Imperatore, visto come ideale astratto e/o semidivino, incarnazione dell'essenza del Giappone tradizionale.

Kimitake Hiraoka fu uno dei pochi autori giapponesi a riscuotere immediato successo anche all'estero. Le sue numerose opere vanno dal vero e proprio romanzo alle forme modernizzate e riadattate di teatro tradizionale giapponese Kabuki e Nō. Yukio Mishima ha rivisitato in chiave moderna il teatro Nō.

Yukio Mishima

photo credits: thereaderwiki.com

La vita di Yukio Mishima

Yukio Mishima

photo credits: wikipedia.org

Yukio Mishima, nasce a Tokyo il 14 gennaio del 1925 nella casa dei nonni paterni, Jotarō Hiraoka e sua moglie Natsuko. I suoi genitori, Azusa e Shizue, abitavano insieme ai nonni e sua nonna che aveva avuto un matrimonio infelice, si assume tutta la responsabilità dell’educazione del bambino, usurpando il ruolo della madre. Sarà proprio sua nonna ad avvicinare il piccolo alla letteratura classica e alle forme del teatro Nō e Kabuki.
Il rapporto che il piccolo Kimitake Hiraoka aveva con la nonna, era qualcosa di fortemente ossessivo, addirittura alla madre era permesso visitarlo solo per l’allattamento.

Yukio Mishima

photo credits: paola1chi.blogspot.com

La nonna non permetteva mai al nipote di uscire da casa fino a che Hiraoka non sfuggì dalla nonna sottratto dalla madre nel 1934.
Queste ed altre esperienze dell'infanzia e dell'adolescenza sono riportate nel romanzo Confessioni di una maschera del 1949, autoanalisi approfondita della sua vita.

Dal 1931 cominciò gli studi del Gakushūin, la scuola dei Pari, sempre grazie ad un consiglio di sua nonna. In questa scuola la maggiorparte degli studenti faceva parte dell'aristocrazia. Chi non era aristocratico era definito "outsider". Con questa scuola gli studenti diventavano più guerrieri che scrittori e le poesie di Kimitake Hiraoka furono pubblicate sulla rivista della scuola.

Il suo primo lavoro, Hanazakari no Mori (La foresta in fiore) fu completato nel 1941 e fu fortemente influenzato dalla scuola romantica giapponese (Nihon romanha). Il professore di lettere del Gakushūin, Shimizu Fumio, notò subito il suo stile classicheggiante. La rivista Bungei Bunka pubblicò il racconto e da lì cominciò ad usare lo pseudonimo Yukio Mishima. Hanazakari no Mori verrà pubblicato in forma di libro insieme ad altri racconti: il suo successo farà conoscere per la prima volta il nome dello scrittore al pubblico.

Finita la scuola, convinto dal padre si iscrisse all'università di giurisprudenza. Dopo la laurea vinse un concorso come funzionario statale al Ministero delle Finanze. Nel periodo del lavoro al Ministero, visse una "doppia vita": funzionario statale fino alla sera e scrittore di notte, dormendo non più di tre o quattro ore.

Yukio Mishima

 

photo credits: oltrelalinea.news

Le prime opere

Nel 1946 presentò due sue opere al premio Nobel Yasunari Kawabata. Tra i due ci fu un sentimento di profonda stima più che quello che in realtà lega maestro e discepolo.

Nel 1948 cominciò il suo lavoro presso la rivista Kindai Bungaku, legata ad ambienti di sinistra. Yukio Mishima cercò sempre di evitare qualsiasi argomento politico nei suoi romanzi, a parte il carattere descrittivo che troviamo in Dopo il banchetto e Cavalli in fuga, infatti Yukio Mishima entrò a far parte del gruppo di sinistra solamente per ottenere più contatti col mondo intellettuale.

Dopo la pubblicazione di Kamen no Kokuhaku (Confessioni di una maschera) nel giugno del 1949, ottenne il riconoscimento della critica e delle venditei. Tra il 1950 e il 1951 pubblicò tre importanti romanzi: Sete d'amore, L'età verde (1950) e Colori proibiti (1951). Nel romanzo Sete d'amore torna alla narrazione in terza persona.

Nel 1951 visita gli Stati Uniti, il Brasile e l'Europa come corrispondente di Asahi Shinbun. In Shiosai (La voce delle onde; 1954) ed il viaggio in Grecia segnarono l'inizio di una nuova vita per Mishima: dal 1955 iniziò a dedicarsi al culturismo, e al kendō.

Yukio Mishima: matrimonio e sessualità

Yukio Mishima si sposa l'11 giugno 1958 con Yoko Sugiyama, sotto il consiglio della famiglia; dall’unione nacquero due figli, Noriko (2 giugno 1959) e Ichiro (2 maggio 1962).

Yukio Mishima suicidio

photo credits: paola1chi.blogspot.com

L’orientamento sessuale di Yukio Mishima fu molto controverso, a causa di alcune sue frequentazioni nei bar gay giapponesi. Molte testimonianze lo videro come protagonista di relazioni omosessuali con ad esempio lo scrittore Jiro Fukushima. Quest’ultimo scrisse un romanzo descrivendo dettagli molto espliciti della relazione con Mishima. A quel punto i figli di Mishima cominciarono una lotta per la violazione della privacy.

Yukio Mishima, in quel periodo, allacciò una relazione con Eikoh Hosoe diventandone il modello per alcune sue foto di Bara-kei, 1961–1962. All'estero il titolo sarà Killed by Roses o Ordeal by Roses.

seppuku

photo credits: dangerousminds.net

Cominciò la sua carriera recitativa nella pellicola tratta da Yūkoku (Patriottismo, 1966), la storia di un giovane ufficiale che decide di fare seppuku insieme alla moglie. Il film fu diretto , scritto ed interpretato da lui. Oltre a questo, le sue foto come culturista e kendōka vengono pubblicate su vari giornali, così come le notizie dei periodi di addestramento insieme al Jieitai (Forza di Autodifesa Giapponese) e alla fondazione della Tate no Kai (Società degli scudi), il suo "esercito privato".

photo credits: lintellettualedissidente.it

La tetralogia Hōjō no Umi (Il mare della fertilità) cominciò nel 1965. L'ultimo volume viene pubblicato nel 1970.

Il suicidio

«Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, forse non è altro che un fragile vetro.» (da Lezioni spirituali per giovani samurai e altri scritti)
Yukio Mishima fu sempre ossessionato dall'idea della morte e decise di unire questo disagio alle idee di patriottismo tradizionalista.

Il 25 novembre del 1970, a 45 anni, Yukio Mishima riunì i più importanti membri del Tate no Kai ("Associazione degli scudi"), che lui stesso aveva findato, e occupò l'ufficio del generale Mashita dell'esercito di autodifesa. Dal balcone dell'ufficio, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, oltre che a giornali e televisioni, tenne il suo ultimo discorso: esaltazione dello spirito del Giappone, condanna della costituzione del 1947 e del trattato di San Francisco, che hanno subordinato reso il sensimento nazionale giapponese schiavo dell’occidentalizzazione.

«Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo.» Era il 25 Novembre 1970 davanti a una platea di giovani soldati, in cui dopo questo discorso e dopo aver inneggiato all'Imperatore, Yukio Mishima praticò il seppuku trafiggendosi il ventre e facendosi poi decapitare. Insieme a lui si toglie la vita il suo più fidato amico e discepolo, Masakatsu Morita.

La scelta del Seppuku

La data e il modo di uccidersi non furono casuali, ma scelti come significato intero della sua vita, lo scopo alla quale essa era stata votata. Il tutto finì con l’atto estremo dell’uomo giapponese: il seppuku. Questo sacrificio, si rifece all’insegnamento cinese di Wang Yangming secondo cui “sapere e non agire equivale a non sapere”.

Proprio poco prima del seppuku, aveva consegnato all'editore l'ultima parte della tetralogia Il mare della fertilità, che fu completata comunque tre mesi prima, ma con la data “25 Novembre 1970” proprio come testamento. Aveva organizzato la sua uscita di scena con molta freddezza, lasciò anche un biglietto: «La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre».

I tre sopravvissuti si consegnarono alla giustizia e vennero condannati a quattro anni di prigione per l'occupazione del ministero, ma furono liberati per buona condotta dopo pochi mesi.

Riassumendo il tutto, possiamo dire che secondo Yukio Mishima I rapporti tra esseri umani si riducono a un torbido e confuso miscuglio di bene e di male, di fiducia e di diffidenza, distillati in piccole dosi. Nonostante tutto questo, se bun gruppo di persone riesca a stringere un patto fondato su una purezza d’animo, ecco che consumismo, relativismo, nichilismo e individualismo diventano nulla. Yukio Mishima riuscì a trasformare la propria esistenza in qualcosa di più importante e profondo, grazie al modo in cui aveva deciso sia di vivere che di morire.

photo credits: wikimedia.org

I suoi lavori

Romanzi
La foresta in fiore (花ざかりの森 - Hanazakari no mori, 1944)
La dimora delle bambole (雛の宿 - Hina no yado 1946-1963)
Confessioni di una maschera (仮面の告白 - Kamen no kokuhaku, 1949)
Sete d'amore (愛の渇き - Ai no kawaki, 1950)
L'età verde (青の時代 - Ao no jidai, 1950)
Colori proibiti (禁色 - Kinjiki, 1951)
Morte di mezza estate (真夏の死 - Manatsu no shi, 1952)
La voce delle onde (潮騒 - Shiosai, 1954)
Una stanza chiusa a chiave (鍵のかかる部屋 - Kagi no kakaru heya, 1954)
Cinque Nō moderni (近代能楽集 - Kindai nōgaku shū, 1956)
Il padiglione d'oro (金閣寺 - Kinkakuji, 1956)
Una virtù vacillante (美徳のよろめき - Bitoku no yoromeki, 2007)
La casa di Kyōko (鏡子の家 - Kyōko no Ie, 1959)

Dopo il banchetto (宴のあと - Utage no ato, 1960)
Trastulli di animali (獣の戯れ - Kemono no tawamure, 1961)
Stella meravigliosa (美しい星 - Utsukushii Hoshi, 1962)
Il sapore della gloria (午後の曳航 - Gogo no eiko, 1963)
La scuola della carne - Nikutai No Gakko, 1963
La spada (1963)
Musica (音楽 - Ongaku, 1965)
Madame de Sade (サド侯爵夫人 - Sado kōshaku fujin, 1965)
La voce degli spiriti eroici (英霊の聲 - Eirei no koe, 1966)
Abito da sera (夜会服 - Yakaifuku), (1966-1967)
Il mio amico Hitler (わが友ヒットラー - Waga Tomo Hittorā, 1968)
Il mare della fertilità (豊饒の海 - Hōjō no umi), 1968-1970, tetralogia composta da:
Neve di primavera (春の雪 - Haru no yuki, 1968)
Cavalli in fuga (奔馬 - Honba, 1969)
Il tempio dell'alba (暁の寺 - Akatsuki no tera, 1970)
Lo specchio degli inganni (天人五衰 - Tennin gosui, 1970)
Medioevo & Il palazzo del bramito dei cervi (Mishima, la storia e vicende segrete) (Chūsei, 1945–46 + Rokumeikan 1956)

Saggi

1967 - La coppa di Apollo (アポロの杯 - Aporo no Sakazuki, 1967)
La via del samurai (葉隠入門 - Hagakure nyūmon, 1967)
Sole e acciaio (太陽と鉄 - Taiyō to tetsu, 1970)
1988 - Lezioni spirituali per giovani Samurai (若きサムライのための精神講話 - Wakaki Samurai no tameno Seishin kowa, 1970): raccolta di saggi comprendente il proclama letto dall'autore pochi istanti prima del suicidio rituale.
1997 - Lettere 1945-1970 (川端康成・三島由紀夫 往復書簡 - Kawabata Yasunari・Mishima Yukio Ohfuku Shokan, 1997), SE (ISBN 88-7710-543-7): carteggio fra Mishima e Yasunari Kawabata.


Nikken Cutlery vi fa sentire come dei veri Samurai

Nikken Cutlery non solo ha deciso di spiegarvi come Oda Nobunaga ed i più grandi Samurai tagliavano le targhette dai loro vestiti, ma ha creato il modo per farvi fare lo stesso ai giorni d’oggi!

Nikken Cutlery vi fa sentire come dei veri Samurai

Author: SaiKaiAngel | Source: Soranews24.com

Nell’antichità, i Samurai non lasciavano mai la casa senza la loro spada, perchè non sapevano quando avrebbero dovuto difendersi. Ai giorni d’oggi, per fortuna è meno probabile incontrare nemici o briganti per strada (si spera!) , ma potrebbe capitare l’incombenza di dover tagliare qualcosa o aprire una merendina. Quanto bello sarebbe poter aprire uno snack con questo set di mini forbici a forma della vera e storica katana? Incanala lo spirito del samurai nella vita di tutti i giorni!

Nikken Cutlery Nikken Cutlery

Se guardate attentamente, potete notare sul metallo di queste taglierine a forma di katana anche il famoso hamon, sapete cos’è? Lo hamon (刃文) è la linea di tempra che caratterizza la katana ottenuta tramite tempra differenziata.
Il particolare tipo di tempra "differenziata" tra dorso e filo produce una linea di colore leggermente diverso sul tagliente, detta hamon (刃文). La forma dello hamon costituisce un segno identificativo dell'epoca della lama e dell'autore costruttore, infatti, chi si intende di katana, una delle prime cose che guarda è appunto lo hamon. Ovviamente, Nikken Cutlery è rimasta fedele anche a questo per queste speciali taglierine.

Nikken Cutlery Nikken Cutlery

Nikken Cutlery, che ha sede nella città di Seki nella prefettura di Gifu, offre tre modelli:

  • Primo modello: basato sull' Heshikiri Hasebe, la celebre spada del signore della guerra Oda Nobunaga.
  • Secondo modello: Izumi no Kami Kanesada di Hijikata Toshizo, vice comandante del gruppo di vigilanti Shinsengumi del XIX secolo.
  • Terzo modello: proviene dallo Shinsengumi, nella forma dello Yamato no Kamiyasusada, la spada di Okita Soji membro appunto dello Shinsengumi.

E non solo! La mini katana è dotata di un mini katanabukuro (Il contenitore in stoffa), con il motivo blu e bianco dello Shinsengumi per le spade di Hijikata e Okita, o viola per le katana di Nobunaga.

Nikken Cutlery Nikken Cutlery

E non è tutto. Nikken Cutlery ha deciso di rendervi Samurai anche in ufficio. Ebbene si, le loro competenze si sono ampliate anche nella creazione di strumenti per ufficio e stiamo parlando si sorprendenti tagliacarte a forma di katana con la possibilità di incisioni personalizzate. Aprire le lettere come un samurai? Non è un problema grazie a Nikken Cutlery!

Nikken Cutlery samurai

Anche qui potete scegliere tra tre varietà di tagliacarte katana. Ognuno di loro dotato di un supporto, in modo da poter mostrare il vostro spirito guerriero a tutti e con orgoglio!

  • Primo modello: "Iron Cloud". La sua impugnatura è nera e oro, e la sua guaina sembra rivestita di lacca, poiché è un nero lucido con scintillii dorati.
  • Secondo modello: "Scarlet Gold Cloud", con un'elegante elsa nera e rossa e una guaina rossa con schizzi d'oro.
  • Terzo modello: "Black Grains of Rock", che ha un'elsa viola e nera e una guaina nera con una trama ruvida che sembra essere stata grossolanamente scolpita da una roccia lavica.

nobunaga

Tutte le guaine sono dipinte a mano da artigiani, quindi ognuna di loro sarà unica, come le lame sono create sempre a mano dagli artigiani Seki. Ogni lama avrà un bordo molto affusolato, ma non dovete temere, sono appositamente progettate per non tagliare la pelle umana. Non è una vera e propria arma, siate guerrieri tranquilli! Inoltre, la lama viene accuratamente temprata con un trattamento termico che utilizza tecniche del tradizionale fabbro e le rende resistenti.

Nel caso foste interessati alla personalissima incisione, queste vengono fatte sulla lama vicino all'elsa e possono essere nomi, messaggi, date tutto entro otto caratteri kanji, hiragana e katakana o 15 lettere e numeri romani compresi gli spazi.

Nikken Cutlery

Non perdete l’occasione di vestire la vostra giornata con la tradizione giapponese, affidatevi a Nikken Cutlery!

Per maggiori informazioni su questi prodotti: Sito ufficiale di Nikken Cutlery | Twitter


Photo Gallery: Kyoto senza turisti

La pandemia sta lentamente passando e l'industria del turismo in Giappone, come anche in Italia, ha subito un duro colpo. Riprendere a viaggiare non ci è ancora interamente concesso, tuttavia è in questi momenti che bisogna trovare il bello delle cose. Ci riferiamo anche alla possibilità di riuscire a scoprire paesaggi e angoli di città che prima non riuscivamo a vedere, spesso anche a causa dei turisti. In quanto meta estremamente desiderata dai turisti, Kyoto ha sviluppato un rapporto amore-odio con i visitatori. Con un numero di 8,31 milioni di turisti da oltreoceano, l'antica capitale è decisamente una delle città più popolari in Giappone. 

Kyoto senza turisti, un salto nel passato

Autore: Erika | Fonte: The Japan times

Tuttavia, il turismo è sempre un'arma un po' a doppio taglio. Se da un lato pota molti introiti ai paesi visitati, dall'altro porta anche le città ad essere sovraffollate. In luoghi turistici come Kyoto, è veramente raro poter godere dei paesaggi senza visitatori. Ciò nonostante, a causa di COVID-19 e la chiusura delle frontiere mondiali, il numero di visitatori è drasticamente calato, lasciando molti di questi luoghi indisturbati. Attraverso queste foto, scattate dagli inviati di The Japan times a fine aprile, possiamo vedere una città deserta e ammirare i suoi monumenti in tutto il loro splendore.

Kinkakuji

Uno dei siti più famosi e meta di tanti turisti è sicuramente il Kinkakuji, noto anche come Tempio del Padiglione d'Oro. Dichiarato patrimonio dell'UNESCO nel 1994, questo landmark conta più di 5 milioni di visitatori all'anno. L'attuale padiglione risale al 1955 dopo che l'originale fu bruciato da un monaco novizio. Tuttavia il complesso risale al XIV secolo. - Foto di Oscar Boyd

Kyoto

Fushimi Inari, una meta che ogni anno attira circa 2,7 milioni di visitatori, landmark noto per i suoi senbon torii (1000 torii, anche se in realtà sono 10 mila in totale), risultava così. Chi ci è stato lo sa, per poter scattare una foto simile in condizioni normali bisogna recarsi sul posto la mattina prestissimo e attendere diversi minuti per poter avere la perfetta inquadratura del tunnel vuoto. Il fotografo Gabriele Bortolotti ha scattato questa immagine a mezzogiorno, in un santuario deserto a fine aprile.

Il mercato di Nishiki, conosciuto anche come "Kyoto's Kitchen" si estende per circa 1,5km fra i quartieri di Teramachi e Shinmachi a Kyoto. Fra negozi di souvenir sempre più diffusi, negozi di coltelli, le sedi dei fornitori di cibi tradizionali giapponesi e tutto ciò che riguarda la cucina, Oscar Boyd ha scattato questa foto.

Kyoto

Passiamo alla tradizione architettonica in legno di Higashimaya. Questa zona è popolarissima tra le persone che cercano un Giappone tradizionale, senza cemento, vetro e neon. Così risultava a fine aprile 2020 agli occhi di Oscar Boyd.

Kyoto

Ginkakuji, il Padiglione d'Argento, costruito nel XV secolo seguendo lo stile del Padiglione d'oro in origine non era ricoperto dal prezioso materiale. Il complesso è poi diventato famoso per il suo ampio giardino giapponese che attira circa 5 milioni di visitatori ogni anno. - Foto di Gabriele Bortolotti

Kyoto

Così era la Pagoda Yasaka, uno dei punti di riferimento della zona superiore del distretto di Higashimaya, ultima struttura permanente del Tempio Hokanji del VI secolo. - Foto di Oscar Boyd

Kyoto

Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO, il tempio Kiyamizudera sul fianco del monte Otowa, nella parte orientale del distretto di Higashimaya è uno dei landmark immancabili per chi visita Kyoto. Fondato nel 780 e ricostruito dopo un incendio nel XV secolo, i lavori della Okunoin Hall sono terminati a marzo. Il tempio attira circa 5 milioni di turisti ogni anno eppure in questo strambo 2020 era completamente vuoto. - Foto di Oscar Boyd


Il Fenomeno Animal Crossing

Il Giappone si sa, è una terra di mode che vanno e vengono, ma il recente fenomeno di Animal Crossing ha coinvolto tutto il mondo, e non stiamo parlando solamente del gaming

Animal Crossing, fenomeno mondiale firmato Nintendo

scritto da: Sara

Quando si tratta di scrivere riguardo ai videogiochi nel nostro blog, sono sempre fortemente in dubbio se farlo o meno perchè ci sono una miriade di titoli dal Sol Levante degni di nota! Questa volta però non potevamo esimerci: il videogioco in questione ha conquistato davvero tutti, soprattutto nel periodo di quarantena con la sua semplicità, il suo mood “chill” e i suoi colori vivaci. Ebbene sì, sto parlando proprio di Animal Crossing!

Animal Crossing

photo credits: gamereactor.it

Le varie versioni

Il titolo giapponese どうぶつの森 (Doubutsu no Mori) letteralmente significa “Foresta degli Animali” ed è stato sviluppato per Nintendo dal game designer Hisashi Nogami nel lontano 2001 trasformandosi velocemente in uno dei videogiochi più amati di sempre. Alla sua prima uscita, infatti, si sono susseguite varie edizioni come Animal Crossing: Wild World, Animal Crossing: Let's Go to the City, Animal Crossing: New Leaf e il recentissimo Animal Crossing: New Horizons; oltre ai simpatici spin-off come Animal Crossing: Happy Home Designer e Animal Crossing Pocket Camp, quest’ultimo disponibile per Android e iOS.

Animal Crossing

photo credits: pinimg.com

Simulatore di vita, questo gioco ci catapulta in un mondo abitato da curiosi animaletti antropomorfi con i quali si può interagire. Non esiste un vero obiettivo, il punto forza della serie è quello di personalizzare il proprio villaggio, raccogliere oggetti, esplorare e… rilassarsi. Inoltre il tempo scorre esattamente come quello della nostra realtà. Il giorno e la notte, le stagioni, le festività, si alternano seguendo i ritmi della nostra quotidianità.
L’ultima edizione del gioco, "New Horizons", è ambientato in un’isola deserta. Totalmente personalizzabile grazie alla funzionalità del Terra Forming che permette di lasciare andare la propria fantasia e ricreare ambienti dalle più disparate ispirazione.

photo credits: twitter.com/ryuryu_12mj

Una volta creato il proprio stile, arredato l’arredabile, invitato amici a visitare l’isola ecc ecc cosa resta da fare? C’è chi potrebbe dire che la giocabilità si esaurisce, ma non è così. Infatti, eventi e aggiornamenti rendono New Horizons un videogioco interminabile e affascinante in cui si possono festeggiare matrimoni, compleanni e cerimonie di vario tipo. Creare un party con gli amici, celebrare le festività come Natale, Pasqua, Tanabata, partecipare a festival di vario genere, gare ed eventi a sorpresa! Ancora una volta, il Giappone ci ha regalato qualcosa di unico. Una gioco a cui dedicarci quando il mondo attorno a noi risulta soffocante e frenetico o semplicemente quando vogliamo evadere, ma non lo possiamo fare fisicamente.

Animal Crossing

photo credits: twitter.com/opeope1006

Tutti i titoli della serie sono disponibili sul sito ufficiale NINTENDO.